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Roma è la capitale degli studenti universitari senza casa

Piove forte a Roma e in via de Lollis 24, per il secondo lunedì consecutivo, gli studenti universitari del collettivo Cambiare Rotta protestano contro il caro affitti. Sotto la tettoia dell’ingresso di LazioDisco (l’Ente regionale per il Diritto allo Studio e alla Conoscenza) fianco a fianco, tengono uno striscione con scritto: “Anno nuovo stessi problemi. Senza casa non c’è diritto allo studio”.

C’è sciopero dei mezzi pubblici in città e qualcuno di loro non è riuscito raggiungere il presidio. I corsi universitari inizieranno tra poche settimane, ma intanto da qua, nello storico quartiere – un tempo universitario – di San Lorenzo, gettano le basi per un nuovo anno di proteste. «Vogliamo dare una sveglia», afferma uno di loro in romanesco, «perché i problemi dello scorso anno sono gli stessi dell’anno accademico che sta iniziando». Intanto, dalle finestre di LazioDisco, i dipendenti sbirciano fuori timidamente. Oggi si insedia il nuovo commissario Simone Foglio, nominato direttamente dalla presidenza della Regione Lazio. A lui è rivolta la voce metallica del megafono, tenuto verso l’alto da uno studente: «Non si può pagare 500/600 euro una stanza, quando si trova. Siamo pendolari, fuorisede, studenti di vari atenei e questo ente ci deve ascoltare».

Pari opportunità?
I fuorisede a Roma nel 2020, secondo Ansa, erano 80mila. Per Il Sole24Ore quest’anno sono 40mila, per l’UDU (Unione Studenti Universitari) invece sarebbero 70mila. Secondo LazioDisco è considerato fuorisede chi, nel comune in cui studia, ha un contratto di affitto di almeno 10 mesi. Rimane fuori dalla stima però chi si accontenta di una soluzione in nero, in attesa di condizioni migliori. Insomma, i numeri dei fuorisede nella città dall’università più grande d’Europa potrebbero essere molto più alti.

Trovare casa a Roma sta diventando un problema di pari opportunità: tra chi può permettersi di pagare una stanza 700 euro al mese e vivere in zone centrali vicino a dove studia, e chi non può, ed è costretto a cercare sempre più lontano dalla zona universitaria, in una città i cui mezzi pubblici sono un problema quotidiano, tra scioperi e disservizi.

Secondo una ricerca condotta da SoloAffitti, rispetto al 2023, complice la domanda turistica sempre più alta, data anche dall’apertura della porta Santa del 24 dicembre che darà inizio al Giubileo, i prezzi delle locazioni a medio lungo termine aumenteranno del 20 per cento. Inoltre, non è una novità che negli ultimi anni i locatori preferiscano affittare ai turisti anziché agli studenti e ai lavoratori. Infatti, come riporta InsideAirbnb, il sito di monitoraggio dell’omonima piattaforma di affitti brevi, le locazione turistiche della Capitale nel 2024 sono aumentate di cinquemila unità. Cinquemila possibilità in meno per chi cerca una soluzione abitativa stabile. A Roma, sempre secondo la mappatura di InsideAirbnb, le unità registrate ad uso turistico sono 32.243, tra case e stanze. E se, come ad oggi, non ci sono politiche pubbliche che regolano il mercato degli affitti brevi, ci sarà sempre una fascia di persone fragili che subirà quest’assenza. Come gli studenti meno facoltosi.

Storie di disparità
«Ho fatto la pendolare per due anni perché gli affitti erano inaccessibili», racconta a TPI Elettra, studentessa di Storia alla Sapienza. «Poi ho cercato casa a Roma e, dopo un mese di ricerche estenuanti con gli occhi fissi sui vari gruppi “cerco casa” su Facebook, ho trovato una stanza a tre chilometri dall’università, a Re di Roma. Dopo un anno, alla scadenza del contratto, il proprietario ci ha detto che se avessimo pagato 300 euro in più a testa, oltre alle 400 che già pagavamo, ci avrebbe rinnovato il contratto, altrimenti avrebbe affittato su Airbnb. E così è stato. Ho lasciato quella casa e sono ripartita da zero. Una nuova ricerca lunga mesi. Alla fine ho trovato una stanza a Cinecittà. Pago 500 euro, 100 in più di prima e molto più distante dall’Università. Lavoro sei giorni su sette per poter affrontare tutte le spese, oltre a quelle dei manuali che sono arrivati a costare anche 80 euro l’uno».

Come Elettra anche Denise, studentessa dell’Accademia delle Belle Arti racconta a TPI: «Non avendo una famiglia che può garantire per me, nessuno mi fa un contratto e quindi tutt’ora pago l’affitto in nero. È stato un processo lunghissimo, un’odissea. Ci abbiamo messo mesi di colloqui tra agenzie, solo affitti, pagine Facebook, chiamate agli amici degli amici ai quali si era liberata una stanza. Alla fine abbiamo trovato solo perché abbiamo cercato in una zona lontana dall’università, una zona lontana dalla metro. Con i mezzi, quando passano, ci vogliono 40 minuti e comunque pago per una stanza piccola 400 euro più le spese».

Un’altra testimonianza arriva da una studentessa al secondo anno di Lettere alla Sapienza, Matilde, che racconta a TPI di aver passato il primo anno in una stanza singola nel quartiere di San Lorenzo a 550 euro, pagati in nero. Quando il padrone di casa ne ha avuto bisogno l’ha cacciata senza preavviso. «Ero senza contratto e non ho potuto beneficiare delle agevolazioni per i fuorisede», ci spiega. «Ci ho messo mesi ma adesso ho trovato una stanza in condivisione e pago 400 euro più spese per un posto letto, e mi sono dovuta accontentare così. Non è giusto, vivo a mezz’ora di distanza da dove studio, con i mezzi pubblici».

Storie che si somigliano molto, tanto che sembrano raccontate dalla stessa persona. Storie che esprimono un disagio comune. Un senso di esclusione e precarietà sin dai primi anni di studio universitario. Un monito per la politica nazionale e regionale. Ma cosa fa la politica italiana per gli studenti?

Investimenti o speculazione?
Sebbene in Italia il mercato dello student housing sia in forte crescita – con 660 milioni di euro del Pnrr è stato istituito il fondo Housing per la costruzione di nuovi studentati -, i risultati di questi investimenti potrebbero essere incerti. La riforma, prevista dal Pnrr, della legge n. 338 del 2000 (che offre ad alcuni soggetti privati la possibilità di richiedere un cofinanziamento statale per realizzare gli studentati) ha innalzato la percentuale di cofinanziamento dal 50 al 75 per cento dell’importo dell’intervento, ha previsto l’apertura a investitori non pubblici e l’applicazione del regime fiscale riservato all’edilizia sociale.

Prima di questa riforma, il 20 per cento degli alloggi creati da enti privati con risorse pubbliche doveva essere assegnato agli studenti nelle graduatorie per il diritto allo studio. Il Ministero dell’Università e della Ricerca (Mur)  però tace, e non è chiaro se questo vincolo sia effettivamente mai stato rispettato. Quindi presumibilmente, i privati costruiscono studentati con finanziamenti pubblici, ma poi non garantiscono i posti letto a quella percentuale di studenti che ne avrebbero diritto.

La risposta del sindacato studentesco Udu non si è fatta attendere: «Il Governo spreca i soldi del Pnrr per alloggi privati e costosi, anziché puntare su residenze pubbliche e accessibili. Abbiamo avuto modo di parlarne con la ministra Bernini, che invece difende le scelte governative in questo senso. Crediamo che sia inaccettabile: la domanda per gli affitti è esplosa ovunque, non è più un problema che si può ignorare».

Di questa poca trasparenza e quantomeno dubbia gestione dei soldi pubblici il sindacato degli studenti ne ha recentemente chiesto conto alla Corte dei Conti e, in contemporanea, ha interpellato con una lettera la Commissione europea.

E mentre nelle grandi città universitarie italiane spuntano campus e residence privati – a Roma si trovano a San Giovanni, a San Lorenzo, zona Ostiense e Pietralata – dove una stanza costa in media 600 euro, per i 765mila studenti fuorisede, l’offerta pubblica soddisfa il cinque per cento della domanda, con 40mila posti letto. Nella Capitale, per 70mila fuorisede, i posti letto nelle residenze pubbliche sono tremila. Pochi e malconci.

Come lo studentato “Antonio Ruberti” in Via de Lollis che nel 2023, dopo un’infestazione di blatte, salì alla ribalta della cronaca nazionale per le parole dell’allora commissario di LazioDisco, Giuseppe Ciardi, che attribuiva la presenza degli insetti alla poca igiene di alcuni studenti stranieri.

Da fuori, ora che gli studenti devono ancora rientrare nelle proprie stanze, sembra un struttura lasciata a sé stessa, non certo un edificio accogliente.

Trovare casa a Roma per gli studenti (e non solo) è diventata oggettivamente un’odissea. E, anche se qualcosa a livello strutturale si sta muovendo, ovvero la costruzione di diversi studentati, è lecito chiedersi se a beneficiarne di più in futuro saranno di fatto gli studenti o gli investitori.

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