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Pasquino a TPI: “Impossibile un Nuovo Fronte Popolare in Italia, da noi non c’è un Mélenchon”

Per contrastare il lepenismo, in Francia, alle recenti elezioni legislative, è stato costituito il Nuovo Fronte Popolare, ovvero un’alleanza elettorale tra i partiti di sinistra. Si tratta di una strada percorribile anche in Italia? O un’eventuale coalizione di centrosinistra deve includere necessariamente anche i partiti di Matteo Renzi e Carlo Calenda? E ancora: quali sono i temi chiave che la sinistra deve presentare agli elettori per contestare la destra e governare l’Italia? 

Sono solo alcune delle domande che TPI ha posto al politologo Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica all’Università di Bologna, in passato anche senatore per la Sinistra Indipendente e candidato sindaco ulivista nel capoluogo emiliano. 

Professor Pasquino, a suo avviso, può un “nuovo fronte popolare” della sinistra trovare terreno fertile anche nel nostro Paese, così come avvenuto in Francia, con l’intento di presentare un progetto politico condiviso che sia in grado di battere la destra sui contenuti?
«Un nuovo fronte popolare italiano non avrebbe senso di esistere in Italia perché mi pare che il Partito Democratico non farebbe mai un fronte popolare. In Italia un’alleanza delle forze di centrosinistra è certamente necessaria, ma non sarà mai come quella francese. Un Mélenchon non c’è in Italia». 

Quindi una coalizione di centrosinistra deve necessariamente includere anche i partiti guidati da Matteo Renzi e Carlo Calenda?
«Non necessariamente, però è una strada percorribile se si vuole riuscire a ottenere il massimo dei voti possibili. Calenda e Renzi hanno dei voti, quindi quei voti sono utili per un’alleanza vincente». 

Una critica che viene fatta spesso ai partiti di centrosinistra è quella di parlare, come vediamo anche dalle cronache di questi giorni, più di nomi che di temi e contenuti. Secondo lei è effettivamente così?
«A mio avviso di temi si parla. Conte ha una posizione sull’Ucraina che certamente non è la posizione del Pd, ci sono posizioni diversificate sull’Europa o su quali politiche intraprendere per l’immigrazione. Anche sullo Ius Scholae non mi pare che tutti siano d’accordo. Detto questo, parlare di nomi è inevitabile, perché in tutte le alleanze deve esserci una leadership abbastanza chiara e definita». 

Lei accennava alle diverse posizioni che si registrano all’interno nel centrosinistra su temi come la guerra in Ucraina e l’Europa, ma vale anche per giustizia e ambiente. Come si possono superare queste differenze?
«Difficile a dirlo. Certamente bisogna riuscire a ridurre i punti di contrasto e a moltiplicare i punti d’accordo. Se però il contrasto su due tematiche centrali, quali la guerra in Ucraina e l’Europa, prevale, allora l’alleanza di centrosinistra potrà anche vincere le elezioni non parlandone, ma poi avrà dei grandi problemi a governare». 

Elly Schlein, secondo lei, è la leader giusta per guidare la coalizione di centrosinistra?
«Elly Schlein è comunque il capo del partito più grande di questa eventuale coalizione. E dappertutto il capo del partito più grande diventa il capo della coalizione e poi eventualmente anche il capo del governo. Dipende da lei e dall’emergere di un’altra leadership alternativa. che però al momento non vedo. Oggi come oggi è Elly Schlein la leader della colazione, domani non lo so. Le leadership emergono di solito in una situazione di conflitto e di contrasto. Se bisogna fare un’alleanza e raggiungere degli accordi tra le varie forze che compongono la coalizione, gli accordi li deve guidare la Schlein, non c’è nessun dubbio su questo punto».

Un’accusa che viene rivolta spesso al centrosinistra è quella di non parlare alla cosiddetta “pancia” del Paese non riuscendo, poi, a convincere gli elettori. È davvero così?
«Non vorrei parlare mai di “pancia”, ma di “mente” e “intelligenza” del Paese. Non si tratta di eccitare gli animi, ma di convincere le persone che ci sono delle scelte politiche migliori, delle politiche che possono cambiare l’Italia in una direzione di maggiore giustizia sociale. Non è poi vero che il centrosinistra non parla alla “pancia”: i voti del centrosinistra nel suo insieme sono quasi il 40% e quindi evidentemente i partiti che compongono quest’area raggiungono molti elettori. Perse le elezioni del 2022, non è detto che si perderanno quelle del 2025. Nel frattempo, il centrosinistra guida una parte non piccola del Paese, dall’Emilia-Romagna alla Sardegna passando per città come Milano. È un po’ disfattista pensare che non si parli agli elettori. Si parla agli elettori in una certa misura e poi c’è una parte aggiuntiva di elettori da dover conquistare». 

Schlein ha indicato cinque punti attorno ai quali costruire un’alleanza e un’alternativa alla destra, ovvero: sanità pubblica, istruzione e ricerca, lavoro e salari, politica industriale per la conversione ecologica, diritti sociali e civili. Su questi punti il centrosinistra può vincere le elezioni?
«Questi cinque punti contengono tutto quello che possiamo dire di un sistema politico. Però non basta trovare i punti, bisogna trovare le soluzioni e le priorità. Sappiamo, ad esempio, che per le riforme sono sempre necessari dei soldi e quindi bisogna avere una priorità specifica. Bisogna puntare su una crescita complessiva economica del Paese che sia accompagnata da una crescita sociale e politica. Tra quei cinque punti metterei anzitutto il problema dei salari bassi e poi il resto segue. Però finché si tratta di punti così generali non si può non essere d’accordo».

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