tpi-logo-trasparente
Elly Schlein

Luigi Crespi a TPI: “Tocca a Elly Schlein federare il centrosinistra ma deve capire che la protagonista à lei”

Il campo larghissimo, con dentro tutti tutti tutti, vincerebbe contro la Meloni?
«Basta a pensare che gli elettori siano scemi! Gli italiani hanno dimostrato di sapere per chi e cosa votare. E anche, se mi permette, quando è il caso di non andare a votare». 

Un campo larghissimo non può vincere?
«Quella formula è carente di due cose. La prima è una visione complessiva, unitaria, a lungo periodo. Non c’è sul piatto un’idea dell’Italia del 2050». 

Su molte questioni c’è identità di vedute, mi pare.
«Lei ha ragione se parla del vasto tema dei diritti civili. Ma se già ci spostiamo su quelli sociali, la musica cambia. Per non citare la geopolitica. Nelle feste di partito di questi giorni, i dibattiti hanno evidenziato che sull’Ucraina le posizioni sono inconciliabili. Se non si ha la stessa prospettiva sui temi internazionali, non si può governare insieme. Significa non essere d’accordo sulla collocazione strategica dell’Italia». 

E il secondo impedimento?
«Le divisioni interne ai partiti». 

Quali?
«Il Pd si presenta a Bruxelles con deputati buoni per ogni evenienza e il gruppo al Parlamento europeo si è già diviso su temi non irrilevanti. E tralascio quello che avviene in queste ore nel Movimento 5 Stelle, dove il confronto politico ha ceduto il passo alle carte bollate. Ma c’è un terzo impedimento, a pensarci meglio». 

Dica.
«Il livello di aggressività verbale nei confronti di Renzi è giunto a un punto di non ritorno. Non si irride così neppure il peggior avversario politico, figuriamoci un soggetto che, di qui a qualche mese, dovrebbe essere tuo alleato. Ecco, gli elettori sono in grado perfettamente di leggere le contraddizioni, le incompatibilità e le violenze verbali. Per questo l’umore delle persone indica che non è quella la strada giusta. In politica funziona un’aritmetica diversa da quella pitagorica». 

Cioè?
«Cioè 4 più 4 non fa 8. Vedi Renzi e Calenda alle ultime europee…». 

Lei descrive un centrosinistra litigioso e in disaccordo su tutto, ma la stessa condizione riguarda il centrodestra: sono una maggioranza contemporaneamente filo-atlantista e filo-putinista. Eppure, governano.
«Una cosa è la propaganda, un’altra le azioni di governo. Non mi risulta che sul piano internazionale ci sia mai stata una decisione contrastata nel Governo Meloni. Quando si è al governo, la posizione è soltanto quella delle azioni di governo. Non la propaganda dei singoli». 

Quindi Salvini che mostra dubbi sull’invio di armi in Ucraina è propaganda?
«Certo. Salvini ha il cattivo gusto di fare una cosa in un modo e poi di propagandarla in modo opposto. È il metodo leghista, che si concreta nell’essere opposizione di sé stessi. Purtroppo, non si sono resi conto che è proprio questa la causa principale della vertiginosa perdita di consenso della Lega. Da oltre il 30% a sotto il 10%». 

Anche Forza Italia scalpita. Tajani non perde occasioni per differenziarsi ed è notizia di qualche giorno fa l’incontro, segreto ma non troppo, tra i Berlusconi e Mario Draghi, complice l’eterno Gianni Letta. Un caso?
«Non so se sia un caso. Ma so che il tempo dei complotti è finito. Un premier indicato nelle elezioni generali con un patto tra elettori e istituzioni non si può sostituire con giochetti di palazzo. Neppure con un pur bravissimo grand commis de l’État, in funzione di una crisi politica costruita a tavolino. Poi che lo faccia Forza Italia sarebbe grottesco». 

Perché?
«Beh, scusi, fu un complotto come quello che lei auspica che fece cadere Silvio Berlusconi. Mi pare impossibile che proprio la sua figlia prediletta possa essere ispiratrice o protagonista di una manovra di palazzo. Suo padre, buonanima, si rivolterebbe nella tomba!». 

Quindi, per voi spin doctor, il quadro politico è immarcescibile?
«No, ma se si vogliono fare dei salti carpiati, bisogna farli col consenso degli elettori. Tutti i sondaggi e i rilevamenti sono concordi nel dubitare che l’elettorato di Forza Italia rimarrebbe fedele alla propria bandiera politica se Tajani e i suoi mandanti pensassero a una qualsiasi forma di alleanza con il Pd. Farebbero la medesima fine della Lega dopo l’alleanza di governo con il M5S». 

Quale?
«Perdere il 75% dei propri consensi. Gli elettori percepiscono le alleanze di mera convenienza come contro-natura. E si comportano di conseguenza, cercando vorticosamente un’altra casa nella speranza che il leader di turno non cambi la rotta per la quale avevano votato. Gli elettori del Pd farebbero esattamente lo stesso percorso. Queste scelte, negli anni, hanno allargato il fronte del non-voto. Se votare è irrilevante, tanto vale andare al mare. O no?». 

La sua lettura, dunque, è che si possa andare solo nella direzione di due partiti. Non c’è spazio, all’interno delle coalizioni, per sensibilità differenti?
«Lo spazio c’è. Il 4% o il 10% sono risultati scalabili da molte forze politiche. Ma gli elettori rigettano le alchimie di puro potere e non accettano di vedersi traghettare dove non volevano andare». 

Da un lato lei nega la possibilità che il campo largo abbia successo, dall’altra sostiene che il centrodestra sia una coalizione non scomponibile. Siamo condannati alla Meloni per i prossimi vent’anni?
«No, tutto può cambiare. Però rilevo che per i prossimi dodici mesi, a meno di spallate antidemocratiche, non vedo alcuna novità di rilievo all’orizzonte. Scusi, ma ha letto gli ultimi sondaggi?».

Veramente intervistiamo lei proprio perché ce lo dica.
«E glielo dico! Tutti gli istituti consegnano stabilità. Sebbene sia stata un’estate che sarebbe meglio dimenticare per questo governo, il gradimento della premier e del suo partito è inalterato. Perdita zero. Con una differenza di sostanza rispetto all’ultima grave crisi del centrodestra, nel 2011». 

Quale?
«Che quando Berlusconi fu fatto brillare, era debolissimo. Congiuntura internazionale sfavorevole, conti alle stelle, problemi personali e di immagine giganteschi. Mentre ora la Meloni, come le dicevo, veleggia sicura. Nonostante la sua zavorra». 

Zavorra?
«Sì. Una classe dirigente che ha funzione sottrattiva. La Meloni ha scelto un gruppo dirigente che le toglie voti, consenso e credibilità. E nonostante questo, non arretra». 

La Schlein può vincere?
«Sì. Senza dubbio, ma deve andare a studiare a casa di Veltroni». 

Veltroni, però, perse.
«Vero. Ma ideò una campagna e un posizionamento che fece della chiarezza la ragione della sua sconfitta». 

Ragionamento ardito.
«I cittadini non lo seguirono, ma il metodo scelto era giustissimo. Se la Schlein mette al centro del dibattito un programma, una visione, un progetto chiaro e definito, e si impegna, lei in prima persona, a guidare il governo che verrà, può benissimo vincere. Senza luciferismi». 

Quali sarebbero?
«Inventarsi per la sfida di Palazzo Chigi personaggi surreali, tecnici luciferini, per l’appunto, o portage di varia estrazione. Deve puntare tutto su sé stessa». 

Addirittura.
«Schlein ha credibilità, freschezza, gioventù e ha dimostrato capacità nella ultima tornata delle europee. Ma deve capire che è lei la protagonista. Non può farsi sfidare dai 5Stelle, da Fratoianni. Il ruolo di federatrice è solo suo». 

Prima lei parlava dei programmi, ora ha inclinazioni leaderistiche.
«Ovvio che ci vuole un programma e anche ben fatto. Ma bisogna ricordare che la gente non vota mai un progetto. Vota una donna o un uomo credibili e capaci di attuare quel progetto. Senza leader, hai voglia…». 

Schlein sta sbagliando, allora, a cercare il campo largo?
«Lei sta lavorando in una direzione giusta e sarà una grande sfida tra lei e la Meloni. Gli altri saranno un contorno. Anzi, un contornino». 

Anche il M5S?
«Conte e il M5S hanno dato corpo a un contenitore capace di assorbire e organizzare un malcontento che poteva declinare in un altro modo, ben più pericoloso. Hanno svolto un ruolo importante per la democrazia. Però, passando dalla protesta alla proposta, sono caduti drammaticamente. Sono destinati a una progressiva scomparsa. Nel mondo del futuro io non vedo il M5S». 

Lo stesso vale per Renzi?
«Renzi ha un nemico acerrimo: la sua intelligenza. Che gli fa fare la cosa giusta nel momento sbagliato. Purtroppo, ha attivato un processo di comunicazione autodistruttivo, parlando spesso contro i suoi interessi. Non si frena, non ha misura, propone cose che non si realizzano. Ma resta un playmaker. Piaccia o non piaccia, è una delle teste più brillanti del nostro Paese». 

Non scomparirà anche lui?
«Il ruolo che vedo per lui è da outsider. Un grande allenatore di calcio, un’ispirazione, ma di seconda linea. La palla è nelle mani della Schlein. Anzi, nei piedi».

Share:

Facebook
Twitter
Pinterest
LinkedIn

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

On Key

Related Posts