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Meloni Vs Salvini: La partita si gioca (pure) in Polonia (di G. Gramaglia)

Si gioca domenica 15 ottobre in Polonia una buona fetta della partita elettorale europea tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Se vince il partito di Jaroslaw Kaczynsky, attualmente al governo, alleato di Fratelli d’Italia nell’Assemblea di Strasburgo, aumentano le possibilità che il gruppo dei conservatori possa avere un peso importante nella prossima legislatura del Parlamento europeo, dando magari supporto a Ursula von der Leyen per un’eventuale riconferma a presidente della Commissione Ue.

Se, invece, perde, si rafforzano le prospettive che la linea sovranista a Strasburgo sia soprattutto portata avanti dal connubio già sperimentato a Pontida a settembre tra Matteo Salvini e Marine Le Pen.

I nodi al pettine
Dopo le elezioni in Slovacchia di fine settembre, che hanno visto il successo del partito filo-russo dell’ex premier Robert Fico, e quelle regionali tedesche di domenica 8 ottobre – s’è votato in Baviera e Assia, roccaforti della Cdu/Csu, dove l’estrema destra di AfD ha avuto consensi record -, sull’agenda politica dell’autunno Ue ci sono due date in neretto: il 15 ottobre, le elezioni politiche in Polonia; il 22 novembre, le elezioni politiche nei Paesi Bassi. Se poi il socialista Pedro Sanchez non riuscirà a fare un governo a Madrid entro il 27 novembre, gli spagnoli torneranno alle urne a metà gennaio, dopo il voto estivo del luglio scorso. Scadenze cruciali per rimodulare le previsioni sulla prossima legislatura del Parlamento europeo e delle Istituzioni europee, la cui fisionomia sarà decisa dal voto previsto tra il 6 e il 9 giugno 2024 e dal rinnovo della Commissione europea entro il novembre 2024.

In Italia, la partita europea è essenzialmente nazionale e interna alla coalizione di destra al governo, con premier e vice-premier impegnati a recitare da europeisti – più la Meloni che Salvini – nelle sedi internazionali multilaterali e da sovranisti in casa. I partner europei sono perplessi e talora sconcertati; gli elettori italiani faticano a raccapezzarsi. I nodi vengono al pettine: con l’Ue, la legge finanziaria, il Pnrr, la riforma del Patto di Stabilità, il Mes, i migranti; in Italia, le priorità della manovra, il “caro tutto” – energia ed alimentari, soprattutto -, ancora i migranti.

L’Italia, in asfissia di risorse, si complica la vita nel contesto europeo, alimentando di continuo spunti polemici, invece di cercare il dialogo e la collaborazione: Meloni e Salvini e i loro ministri attaccano briga alternativamente con Parigi e Berlino; e fanno comunella con Varsavia e Budapest, salvo poi essere ripagati dai loro interlocutori polacchi e ungheresi con la moneta di sonanti veti sulla politica europea dell’immigrazione. Un mix da brivido di nemici sbagliati ed amici pure.

Scrivono Nathalie Tocci e Leo Goretti, direttrice e ricercatore dell’Istituto Affari Internazionali: «Dopo un anno di Governo Meloni, nuvole scure si addensano sull’orizzonte delle relazioni Ue/Italia. Meloni dichiara di avere finalmente convinto l’Ue ad affrontare la dimensione esterna della politica migratoria. Tuttavia, non c’è nulla di nuovo nell’approccio europeo. E, come se non bastasse, l’Italia non ha raggiunto nessun risultato sulla dimensione interna… Per quanto riguarda poi la politica economica, l’atteggiamento del governo italiano, esemplificato dalla ritardata ratifica del Mes, indebolisce la credibilità dell’Italia e ne limita gli spazi di manovra. C’è un rischio reale che il nuovo Patto di Stabilità sarà ben lontano da quello che l’Italia si aspetta e di cui ha bisogno».

Nemici e amici sbagliati
Con la Polonia, la premier italiana è molto comprensiva: al Vertice di Granada, ha detto di «capirne le motivazioni», dopo che il premier Mateusz Morawiecki non ha approvato le conclusioni sull’immigrazione perché – ha detto – «sono responsabile della sicurezza dei cittadini polacchi… Rimarremo sicuri sotto il governo del partito Diritto e Giustizia». Un messaggio in chiave elettorale: l’attuale maggioranza è insidiata da una coalizione europeista, chiamata Piattaforma civica, guidata dall’ex presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk.

Come è elettorale la logica dell’atteggiamento della Polonia verso l’Ucraina: dopo esserne stata, dall’inizio dell’invasione, la più oltranzista degli alleati europei, adesso, per una manciata di grano e soprattutto per il voto dei contadini, smette d’inviare armi a Kiev e ne frena la vendita di cereali nell’Ue. Posizioni che, con il voto in Slovacchia e il blocco – sia pure temporaneo – degli aiuti Usa  indeboliscono il messaggio di fermezza dell’Occidente nel sostegno a Kiev: Politico scrive che l’Ucraina si mostra «coraggiosa», mentre l’Occidente «traballa».

Non ha l’insidia delle elezioni, ma usa immagini forti anche il premier ungherese Viktor Orban, schierato con Morawiecki sull’immigrazione: Polonia e Ungheria – dice – sono state «stuprate legalmente» dall’Ue: «Se ti vogliono costringere ad accettare qualcosa che non ti piace, come puoi raggiungere un compromesso? È impossibile… non solo ora, ma anche negli anni a venire». 

Unione, Ucraina, migranti, ma anche aborto, libertà di stampa, rispetto dello stato di diritto sono temi della campagna elettorale polacca, dove, domenica 1 ottobre, la “marcia di un milione di cuori” dell’opposizione ha mobilitato «centinaia di migliaia» di persone. Per Tusk, «sta arrivando l’ora della svolta nella storia del nostro Paese», perché «il gigante si è svegliato, vinceremo le elezioni».

«La Polonia sarà dialogante con l’Europa e il Mondo, tollerante, sensibile ai problemi climatici e rispettosa dello stato di diritto», promette Tusk: «Siamo pronti a vincere e a formare un governo democratico, europeo e moderno», gli fanno eco i suoi alleati.

Ma i sondaggi danno ancora avanti il partito nazionalista populista di Kaczynski e Morawiecki, che ha circa il 35% delle intenzioni di voto, contro il 27% della coalizione di Tusk. Diritto e Giustizia accusa l’opposizione di volere «far entrare in Polonia immigrati clandestini» e di prepararsi a creare «una seconda Lampedusa», contrapponendo la sua visione «patriottica» a quella «tedesca» dei rivali. E, poi, una promessa concreta e accattivante: «Se vinciamo, lo stipendio medio salirà» all’equivalente di circa 2.000 euro, cifra molto alta in un Paese che non ha l’euro.

Cosa ci aspetta
A otto mesi dal voto europeo, previsioni e calcoli sui futuri assetti di forza e di potere tra Bruxelles e Strasburgo resteranno scritti sulla sabbia di questa “estate indiana”, quali che siano i risultati polacchi e olandesi. Ma se Diritto e Giustizia dovesse perdere, Meloni avrebbe sbagliato cavallo e scuderia.

C’è l’impressione che l’atteggiamento del governo italiano verso gli interlocutori europei sia spesso condizionato, più che dalla tutela degli interessi contingenti, dalle manovre in atto a Bruxelles, dove si tastano le prospettive di nuove coalizioni, la cui forza nei numeri andrà poi verificata a voto fatto: l’attuale maggioranza europeista fra popolari, socialisti, verdi e liberali potrebbe essere rimpiazzata da una maggioranza di centro-destra tra popolari e conservatori, meno europeista e, anzi, fortemente striata di sovranismo.

La speranza di contare di più domani, in un’Unione meno coesa e più fragile, non deve però indurre a errori oggi. I negoziati che per l’Italia contano, quest’autunno (finanziaria, Patto di Stabilità, migranti) si fanno con chi c’è e non con chi – forse – ci sarà.

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