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Libertà di stampa: con il Media Freedom Act l’Ue fa un passo avanti. Ma c’è un però

Senza pluralismo e libertà dei media non c’è democrazia, su questo sembrano tutti d’accordo. Che «la stampa è per eccellenza lo strumento democratico della libertà» lo scriveva già Alexis de Tocqueville, padre del liberalismo moderno. Come poi si declina la difesa dell’indipendenza dei media e dei giornalisti, è tutt’altro che semplice. 

Con l’intento dichiarato di tutelare la libertà d’informazione, l’Ue ha prodotto una prima legge sovranazionale, che se verrà finalizzata entro le elezioni europee del prossimo giugno porterà novità non irrilevanti. Come, ad esempio, per la prima volta un’autorità a livello europea indipendente dal potere politico e con facoltà di intervenire nei diversi Paesi Ue nel momento in cui le regole della nuova legge fossero violate. Ma i problemi non mancano.

Storia di un emendamento
Il Parlamento europeo riunito in seduta plenaria a Strasburgo ha approvato martedì 3 ottobre l’European Media Freedom Act (Emfa) o legge europea sulla libertà dei media. Una misura ampia e articolata, fortemente voluta dalla Commissione Von der Leyen anche con occhio ai rischi della disinformazione e della propaganda russa. Nella versione appena approvata il provvedimento mira a garantire il pluralismo dell’informazione difendendo gli organi di stampa da possibili ingerenze, che siano di tipo governativo, politico o privato. Per questo obbliga alla trasparenza, chiedendo agli organi di stampa chiarezza sulla proprietà, proprio perché ne possa esserne valutata l’indipendenza. I voti favorevoli sono stati 448 favorevoli, 102 i contrari e 75 astenuti.  Una maggioranza piuttosto consolidata, sinistra contro destra. E fin qui nessuna sorpresa.

Il nodo irrisolto si è però evidenziato in un emendamento che mantiene la possibilità di controllare il lavoro dei giornalisti attraverso l’uso di software spia o spyware. Sulla carta, il Parlamento proibisce ogni forma di pressione o interferenza nei confronti dei giornalisti e ci tiene a garantire che non si possano forzare i cronisti a rivelare le fonti delle notizie. E nemmeno – si afferma esplicitamente nell’Emfa – entrare nei loro dispositivi elettronici attraverso software di spionaggio. Poi però questa possibilità viene reintrodotta caso per caso quando a richiederlo sia un magistrato. Che deve motivare la decisione per ragioni legate alla sicurezza nazionale. 

L’eccezione
L’emendamento “spyware comunque” alla fine è passato, a maggioranza assoluta (384 su 705) contro un forte blocco di minoranza che si è fermato a 212. Tra i contrari, Verdi e Sinistra europea e, insieme a loro, anche la componente degli eurodeputati italiani appartenenti al Movimento 5 Stelle. Non affiliati a nessun raggruppamento politico a Strasburgo, gli eletti pentastellati sono ormai ridotti a solo sei deputati, dopo aver subito diverse defezioni nel corso degli anni.  

«La sicurezza nazionale non può essere motivo sufficiente per sorvegliare, spiare e mettere a tacere i giornalisti», ha affermato durante il dibattito all’Eurocamera la 5S, Sabrina Pignedoli. «Tale eccezione», ha sottolineato, «rischia di vanificare gli importanti passi avanti su pluralismo, trasparenza e indipendenza dei media» fatti con Emfa, sul cui voto finale i 5S si sono infatti astenuti. 

A nulla era valso l’appassionato appello contro l’uso dei software spia pronunciato in aula prima del voto da parte dell’eurodeputata irlandese Clare Daly, esponente della sinistra. «Edward Snowden ha definito gli spyware un’arma nucleare», ha ricordato citando l’ex agente della National Security Agency che ha diffuso i segreti di un programma di sorveglianza su scala mondiale da parte degli Usa. Un’opera di cui Julian Assange aveva fatto da apripista con Wikileaks. «Sono software che prendono il controllo dei nostri apparecchi elettronici e distruggono ogni possibile privacy», ha continuato Daly. «Ecco perché chiedo a chiunque voglia garantire la libertà dei media di vietarne l’uso contro i giornalisti».

L’arma nucleare
A fine settembre, la Federazione europea dei giornalisti (Efj), che riunisce circa 70 organizzazioni tra cui l’italiana Federazione nazionale della stampa (Fnsi) aveva lanciato l’allarme. Con tanto di lettera aperta, aveva chiesto agli eurodeputati di garantire il «divieto assoluto nell’uso di spyware contro i giornalisti, così da ripristinare un ambiente di lavoro sano e sicuro per i cronisti e garantire loro il massimo livello di protezione». 

Perché fino ad oggi non è andata così. Il caso degli spyware installati nei telefoni dei giornalisti di alcuni Paesi europei, tra cui Spagna, Francia, Polonia e Ungheria era stato sollevato nel 2021 a partire da un’inchiesta giornalistica pubblicata dal consorzio di giornalismo investigativo Forbidden Stories. Particolarmente grave il caso dell’Ungheria, dove Pegasus – questo il nome dello spyware di fabbricazione israeliana – sarebbe stato usato dal governo Orbàn per prendere di mira centinaia di telefoni appartenenti a oppositori politici, editori e giornalisti. 

Pochi mesi dopo tali rivelazioni, un’altra inchiesta giornalistica ha portato alla luce come anche il premier polacco Morawiecki avrebbe usato fondi pubblici per utilizzare ancora una volta Pegasus, anche in questo caso contro diversi oppositori e alcuni giornalisti non graditi al governo di Varsavia. Anche in Grecia, lo scorso anno è emerso dall’inchiesta del giornalista investigativo Thanasis Koukakis l’uso per fini politici di un altro spyware, di nome Predator. Oltre ad alcuni reporter, sotto controllo sarebbe finita anche l’attività del socialista Nikos Androulakis, allora eurodeputato.

Questione di feeling
Che lo scandalo spyware non abbia toccato l’Italia, potrebbe aiutare le decisioni del governo italiano in materia. Ma l’opposizione di Ungheria e Polonia pone a Meloni una questione di alleanze in vista del voto europeo 2024. Tutto lascia pensare che Budapest e Varsavia non vorranno rinunciare alla possibilità di controllare i media, proprio per questioni che giudicano di “interesse nazionale”. E vale la pena sottolineare che sono stati gli europarlamentari ad aver inserito nella formulazione dell’Emfa che i governi avevano fatto a giugno, il divieto di ricorrere ai software spia. Fatte salve le controverse e problematiche eccezioni contestate da sinistra, verdi e giornalisti stessi. 

Dato che l’ultima parola sulla legge europea per la libertà dei media spetterà di nuovo ai governi dei 27 Paesi Ue, nella scelta dell’Italia peseranno le affinità elettive? Se Orbàn è notoriamente amico di lunga data di Giorgia Meloni, Morawiecki ne è addirittura formalmente alleato nella famiglia politica europea.

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