A volte scompaiono in pieno giorno. Spesso non lasciano tracce, e come fantasmi vengono ingoiati nelle maglie di un sistema da cui non riemergeranno più. A volte fuggono – dopo un viaggio della speranza, che con fatica li ha portati sulle nostre coste – per raggiungere quella che considerano la meta finale, e che sovente si trova in Nord Europa. Hanno destini fra loro diversi. In comune un unico denominatore: sono minori scomparsi. Un fenomeno che, secondo i dati del Viminale, riguarda tanti ragazzi quanti ne possa contenere un paese della provincia italiana.
Nei primi quattro mesi del 2023 sono scomparsi infatti quasi 6mila minori, di cui 1.319 italiani e 4.589 stranieri. Nel 2022 nel nostro Paese sono state denunciate – sempre secondo il Viminale – ben 17.130 scomparse, di cui 14.410 hanno riguardato la fascia d’età 15-17 anni. Una media di 47 esposti al giorno, di cui quasi 36 stranieri (il 75,90% del totale) e 11 italiani (24,10%).
Numeri da far rabbrividire. Considerando anche come le denunce di scomparsa registrate dalle forze dell’ordine dal primo gennaio 1974 (anno di istituzione della banca dati Sdi – Sistema d’indagine) fino a oggi ammontino quasi a 300mila e di queste restino ancora da ritrovare ben 45.028 uomini e donne che al tempo erano minorenni. Praticamente gli abitanti di una città poco più popolosa di Biella.
“La mia vita si è fermata”
«La scomparsa dei bambini rappresenta una delle piaghe più drammatiche della nostra società, una ferita di conoscenza ed attenzione, oltre che di sicurezza», sottolinea Ernesto Caffo, presidente della Fondazione Sos il Telefono Azzurro onlus, che al tema ha dedicato un corposo dossier e che si occupa di gestire dal 2009 il Numero Unico Europeo per i Minori Scomparsi (116000).
Una ferita che «necessita di reti concrete e sinergiche di allerta per intervenire in maniera più tempestiva ed efficiente, poiché si deve prevenire per proteggere».
«È necessario trovare delle risposte e questo può avvenire solamente attraverso il coordinamento delle istituzioni pubbliche, delle associazioni no profit e degli enti locali», osserva Caffo. Una sinergia fondamentale che si è mostrata all’attenzione pubblica anche nelle ultime settimane, quando una mole impressionante di forze dell’ordine ed enti si sono messi in moto per la ricerca della piccola peruviana Kataleya Mia Alvarez Chiclio, scomparsa a Firenze dall’Hotel Astor, dove viveva con la famiglia in una stanza occupata, il 10 giugno.
Ma la storia italiana è punteggiata da scomparse che hanno plasmato la memoria collettiva. Fra i casi più emblematici quelli di Santina Renda, smarrita a Palermo nel 1990, Angela Celentano. scomparsa nell’agosto del 1996 sul Monte Faito, e Denise Pipitone, le cui tracce si sono perse a Mazara del Vallo nel 2004.
Andando in dietro con la memoria non si può però dimenticare Mauro Romano, sparito il 20 giugno 1977, ad appena sei anni, nel paese salentino dove viveva con i suoi genitori, Racale.
«La mia vita quel giorno – racconta la madre Bianca Colaianni – si è fermata. Non passa un giorno in cui non pensi a Mauro, in cui non mi chieda che fine abbia fatto, in cui non cerchi di avere una risposta».
La storia del piccolo – seguita da tre inchieste giudiziarie nel corso dei decenni che non hanno però portato ad alcuna conclusione – è un punto interrogativo che resiste identico a se stesso da 46 anni.
Un punto interrogativo che tormenta tutte le famiglie, come spiega lo psichiatra Andrea Fagiolini: «Quando un bambino viene rapito o smarrito tutti quelli che sono a lui vicino vivono nell’angoscia e nell’incertezza, in un senso di disperazione e impotenza costante, amplificato dal non sapere cosa sia successo al minore, se sia ancora vivo o morto, se in quel momento possa soffrire o subire violenze».
A esprimere questo sentimento ancora la mamma del piccolo salentino, disperata come il primo giorno: «Noi – continua Bianca Colaianni – siamo ancora qui a chiederci che fine abbia fatto. Nonostante l’impegno negli ultimi anni degli investigatori, tutto è finito nel vuoto. E io ho nel cuore solo lo stesso desiderio da sempre: riabbracciare il mio Mauro prima di morire».
Parole simili a quelle di Giorgia Isidori, sorella di Sergio, scomparso a cinque anni il 23 aprile 1979 a Villa Potenza, frazione di Macerata, durante il funerale del parroco del paese. Era uscito per cercare il fratello, ma non ha più fatto ritorno a casa: «Non mi arrenderò mai. Ho diritto di sapere la verità», spiega. Necessità comprensibili e naturali, che influenzano per sempre le vite di chi resta.
«L’impatto sulla vita dei genitori e dei famigliari è profondo e duraturo. Tristezza, depressione, senso di colpa, rabbia, impotenza, disperazione e ansia sono solo alcuni dei sintomi più frequenti. La salute mentale e fisica può deteriorarsi a causa dello stress e dell’ansia costanti legati alla perdita del proprio figlio, fratello, sorella. Una sofferenza che può persistere per molti anni, a volte per tutta la vita, specialmente se non si ha alcuna notizia o risoluzione riguardo alla scomparsa. Per questo è fondamentale offrire aiuto, compassione e comprensione, rispettando il dolore e offrendo sostegno», ragiona ancora il prof. Fagiolini dell’Università di Siena.
Tre su 4 sono stranieri
Ragionamento a parte merita la questione relativa ai minori stranieri. Stando ai dati elaborati dal Ministero, al 31 dicembre 2022 il nostro sistema di accoglienza ha registrato 20.089 minori non accompagnati (Msna). Un dato in forte aumento rispetto allo stesso periodo di rilevazione del 2021 (+64%) e del 2020 (+184%), che viene giustificato dalla presenza di molti minori provenienti dall’Ucraina subito dopo lo scoppio della guerra nel febbraio 2022. Si tratta per lo più di 17enni (44,4%) e 16enni (24%), mentre solo il 20,3% con meno di 15 anni. Un piccolo esercito che preoccupa lo stesso Viminale.
Anche alla luce del futuro disastrato che spesso attende i giovani: alcuni vengono coinvolti in reati predatori, altri cadono nella vasta rete della prostituzione (soprattutto nigeriane e rumene) o dello sfruttamento lavorativo (tunisini e marocchini in primis), scomparendo così dai radar delle ricerche. Senza dimenticare un altro fenomeno che, pur restando marginale, è stato fotografato da numerose inchieste: il traffico di organi.
Ne è certo Antonio La Scala, uno tra gli avvocati più esperti del fenomeno e già per cinque anni presidente dell’associazione Penelope: «Il primo campanello d’allarme – spiega – risale al 2016 quando, dopo un’importante inchiesta a Palermo che portò all’arresto di 31 persone per traffico d’organi, anche il Papa lanciò un appello. Il Parlamento all’unanimità approvò poi una legge che ha aumentato la pena per questo tipo di reato.
Gli ultimi dati ci dicono che in Europa sono spariti nel nulla oltre 10 milioni di bambini iracheni e siriani. Sicuramente molti sono finiti in questo vortice inumano, di cui abbiamo pochi elementi per immaginare una fotografia». Un vortice che annulla le esistenze di migliaia di vite, e che si giova della scarsa collaborazione a livello europeo e mondiale fra le autorità.
«Il 95% dei bambini scomparsi sono di origini umili, ed è più facile sottrarli alle famiglie che spesso non hanno gli strumenti per riuscire ad ottenere giustizia», ragiona ancora l’avvocato La Scala. «È per questo che, se vogliamo incoraggiare una battaglia seria sul tema, l’ambizione deve essere costruire non solo patti fra Stati ma una vera e propria cabina di regia internazionale che possa prendere le difese di chi sovente non ha voce per parlare».