È una vera e propria rivoluzione, quella che si è verificata il 14 maggio in Thailandia. Con un voto, il Paese ha sancito la vittoria di Pita Limjaroenrat, leader del Move Forward Party, ma, soprattutto, sembra aver messo fine alla lunga stagione di colpi di Stato (12) che per un secolo hanno caratterizzato la storia politica della nazione, danneggiandone fortemente la reputazione internazionale.
La Thailandia, monarchia costituzionale, nel 2014 aveva attraversato una grave crisi politico-sociale causata dall’incriminazione, e successiva rimozione, del premier Thaksin Shinawatra, il cui partito, Pheu Thai Party, ha vinto per oltre vent’anni ogni elezione nazionale senza poter, di fatto, governare.
Il caso di Thaksin è ancora oggi avvolto da controversie: un imprenditore che da anni vive in auto-esilio a Dubai e che si proclama vittima dell’establishment thailandese, costituito da sistemi militari e burocratici considerati inossidabili, che invece lo considerano un criminale corrotto, e che lo attendono in patria per il processo.
Proprio contro l’establishment si sono schierati diversi partiti dell’opposizione, che da otto anni affrontavano il primo ministro (ed ex generale) Prayut Chan-o-cha, tra loro, il Pheu Thai Party, guidato dalla 38enne figlia di Thaksin Shinawatra, Paethongtarn, manager e imprenditrice, che ha partorito a 13 giorni dal voto, e Pita Limjaroenrat, leader di un partito nuovo e che, contro ogni sondaggio, è arrivato primo alle elezioni.
Facce nuove
Pita Limjaroenrat, 42 anni, per il Paese, dove contano nomi e soprannomi, è semplicemente “Pita”, laureato ad Harvard, imprenditore, manager e investitore, da anni guida una silenziosa ma tenace battaglia contro il sistema giudiziario, burocratico e militare thailandese, proponendo ricette economiche che integrano libero mercato, decentramento, promozione dei diritti civili e contrasto alle disuguaglianze. Il suo primo partito, il Future Forward Party, era stato dissolto per accuse di corruzione, come nel caso di Thaksin Shinawatra.
Sarà lui, con tutta probabilità, a guidare il prossimo governo, insieme ad almeno 5 partiti dell’opposizione, tra cui il noto Pheu Thai Party, arrivato a un solo punto di distacco e alcuni nuovi partiti, che hanno il volto della nuova Thailandia, come il Thai Sang Thai Party, rappresentato a Bangkok da un giovane attivista e avvocato, Narutchai Bunnag, che mostra orgoglioso i tatuaggi in tutti i manifesti e comizi. Anche lui è il volto della nuova Thailandia: giovane, coraggiosa e un po’ sfrontata.
Pita è il primo politico in Thailandia a parlare apertamente di poter riformare la controversa legge sulla lesa maestà, che solo tra il 2020 e 2021, ha causato oltre 100 arresti tra attivisti, studenti e intellettuali. È il primo politico a proporre di riorganizzare l’esercito e aprire al matrimonio egualitario per persone dello stesso sesso, in un Paese che è tra i più tolleranti e aperti al mondo per quanto riguarda le persone Lgbtq+, ma che non ne ha mai davvero istituzionalizzato i diritti.
Vecchie sfide
Oltre ai diritti civili, la Thailandia deve affrontare il delicato tema della corruzione, uno dei nemici di Pita Limjaroenrat, che ha promesso di contrastarla aumentando la trasparenza con riforme di governance e di tecnologia, in un Paese che, ad oggi, è al trentacinquesimo posto nella classifica della corruzione percepita redatta da Transparency. Il futuro premier ha promesso di aumentare la spesa pubblica su istruzione, welfare e trasporti, cambiando completamente l’approccio minimalista dello Stato thailandese che ad oggi ha potuto contare su un sistema snello e a ridotta tassazione, ma da molti considerato troppo fragile.
Restano molte sfide aperte per il Paese: una Costituzione emendata recentemente, che garantisce una camera nominata di 250 membri, e che mina il livello di democrazia; il ruolo dell’industria e la sfida per attrarre capitali e aziende nel campo automotive, tecnologia e chimico, settori su cui da tempo si è scelto di scommettere, nonostante la concorrenza di altri Paesi asiatici; il tema dell’immigrazione, mai davvero affrontato dal governo di Prayut e dai precedenti, che hanno scelto un approccio di chiusura, evitando anche di firmare le principali convenzioni internazionali sui rifugiati, e che ha contribuito a causare, oggi, una crisi di domanda di lavoro.
Negli ultimi 9 anni, la Thailandia ha congelato il suo status di economia di transizione, garantendo un’armonia socio-economica stabile ma immutabile, con un approccio protezionista, in un contesto di forte concorrenza globale, trascurando i diritti sociali e l’importanza dell’esercizio democratico. Tutti temi che i thailandesi non sembrano aver accettato.
Il giusto equilibrio
Per il Paese e per tutto il Sud Est asiatico, questo voto rappresenta una vera e propria rivoluzione. Anche perché, per la prima volta, i partiti si sono scontrati sul terreno di proposte di politiche pubbliche tangibili e misurabili, dove soluzioni e valori ideologici si sono integrati mettendo in secondo piano le sole figure carismatiche, che avevano guidato le campagne elettorali precedenti.
Con oltre 71 milioni di abitanti, l’80 per cento di popolazione con livello di istruzione avanzata, e oltre il 16 per cento con laurea, la Thailandia si trova di fronte al bivio per diventare un’economia matura, dove il livello di povertà è al 6 per cento, la disoccupazione è praticamente inesistente, ma permangono complessità sociali rispetto alla distribuzione dei redditi e all’assistenza sociale.
Le fasce più deboli della popolazione, in particolare anziani, madri single e disabili, possono contare su pensioni praticamente inesistenti, un sistema di mutui e prestiti che solo recentemente si è consolidato e istituzionalizzato, e quasi nessuna politica di sostegno al welfare. La Thailandia ha oggi l’occasione di diventare un Paese che guarda ad un futuro non solo economico, ma sociale. Negli occhi dei giovani thailandesi candidati e attivisti, riuniti nella Piazza della Democrazia, ci sono gli esempi di Taiwan, del Giappone, degli Stati del Nord Europa, realtà da cui intendono “prendere spunto”, senza dimenticare l’antica storia del Paese, che ancora oggi, tiene unita, in un’unica identità, una popolazione molto diversa.
Una popolazione che ha il volto ottimista e tenace di Pita, i tatuaggi coraggiosi di Narutchai, la grinta resiliente della neo-mamma e quasi prima ministra Paetongtarn Shinawatra, ma anche lo sguardo severo dell’ex generale Prayut Chan-o-cha, che rappresenta, ancora oggi, la parte più conservatrice del Paese, minoritaria nei voti, ma organizzata nel potere.
Per sfidarla, i partiti al governo dovranno trovare il giusto equilibrio tra distruzione e conservazione, in perfetta chiave asiatica.