Crescere un figlio in una qualsiasi città italiana, oggi, è sempre più costoso e difficile, e in ogni caso ben più di quanto non lo fosse un decennio fa. Pensare poi di allargare il proprio nucleo familiare ad un secondo o, addirittura, terzo figlio è un lusso che pochi possono permettersi di sostenere.
Ma perché decidere di fare un figlio è diventata una pratica sempre più desueta? Da quando pensare di dare alla luce una figlia è divenuto un esercizio mentale ed esistenziale? Come mai contribuire alla crescita demografica della società con più figli equivale oggi, utilizzando un’iperbole, al privilegio di possedere una prima, seconda e terza casa?
È davvero incredibile a dirsi, ma se ci riflettiamo per più di un secondo è davvero così.
Un così drastico calo della bilancia demografica nel nostro Paese è riconducibile a diversi motivi, ma almeno due fra questi costituiscono forse il più grande ostacolo intorno al dibattito sulla denatalità, andando oltre la retorica morale a cui per anni siamo stati abituati e mettendo da parte la folle teoria complottista della sostituzione etnica degli italiani con i migranti.
Il primo aspetto è economico, il secondo culturale. Prendete il primo. Per crescere un figlio servono soldi. Tanti. E se vivi in una città medio-grande è difficile pensare di poter avere più di un figlio. Di fatto, allo stato attuale, non esistono solidi interventi economici a sostegno della crescita e dell’educazione dei figli. Basti pensare al costo dei pannolini o a quello del nido (vedi tabella e l’articolo di Marta Vigneri a pagina 8 sul settimanale). Oltre a ciò, nelle nostre città mancano letteralmente spazi pensati ad hoc per i genitori e per i propri bambini (vedi l’articolo di Francesca Bubba a pagina 10 sul settimanale).
In questo senso, l’idea del ministro Giorgetti di alleggerire il peso fiscale per le famiglie con più figli non è di per se un’idea sbagliata, a patto che ciò non diventi una bandierina politica da sventolare per propagandare il concetto della famiglia di cui la destra da sempre si riempie la bocca.
Stando alle statistiche, due persone al giorno d’oggi in Italia fanno mediamente 1,13 figli. Il che significa che 100 coppie fanno poco più di 50 bambini e che 1.000 coppie fanno circa 550 bambini.
In circa dieci anni la natalità in Lombardia è passata da 100mila a 64mila nascite, 350mila in meno. «Si può dire che ogni anno, in Lombardia, nasce una piccola città in meno», osserva il professor Enrico Ferrazzi, direttore dell’ostetricia del Policlinico di Milano.
Il secondo aspetto, quello culturale, fa riflettere ancora di più. Come ricorda Ferrazzi, nella visione della società contemporanea la figura della donna è, fortunatamente, oggi equiparabile all’uomo in tutto e per tutto (diversamente da mezzo secolo fa, ad esempio, e al netto delle disparità salariali che rendono ancora l’Italia un Paese anni addietro nel progresso civile).
Eppure sia l’uomo che la donna, nella cultura popolare di massa, vengono in larga parte rappresentati e persino stereotipati all’eccesso da un’ossessione quasi unica verso se stessi, indotta dalle proprie paturnie esistenziali, in una condizione introspettiva perenne rivolta all’Io e sempre meno proiettata verso qualcos’altro.
Il che, come detto, dipende anche dagli aspetti economici ma non solo. Tralasciando, infatti, il modello di famiglia su cui si è retta la società italiana dal secondo dopoguerra, viziata anche dalla morale cattolica di cui il nostro Paese è intriso, ciò che pare essere venuto meno nelle generazioni che non fanno più figli è il concetto di nucleo familiare come priorità rispetto ad altre questioni sociali che invece hanno preso il sopravvento.
Siamo il Paese europeo con il dato più alto di età media per un parto. Se cinquant’anni fa gli italiani facevano figli intorno ai 20-25 anni, oggi l’età media è 31,5 (in Lombardia 33). Eppure nei Paesi Bassi l’età media è, ancora oggi, tra i 26-28 anni. Così anche in Scozia e Regno Unito.
Nel corso dell’ultimo anno abbiamo registrato in Italia 396mila parti. E sono morte 700 mila persone. Un deficit di 300mila italiani. Da qualche parte dovremo pur iniziare.