Il prossimo 22 ottobre Giorgia Meloni taglierà formalmente il traguardo del secondo anno di governo a Palazzo Chigi.
In Italia, dove i governi hanno una durata media di un anno e mezzo circa, la longevità del biennio meloniano è già di per sé significativa.
Se Meloni & Co. arrivassero a mangiare il panettone, fatto più che probabile vista la situazione odierna, il Governo Meloni I sarebbe il sesto esecutivo più duraturo di sempre. Un biennio è anche un lasso di tempo ragionevole adeguato per trarre un primo bilancio.
L’elemento centrale della politica di Giorgia Meloni, tanto sul piano nazionale quanto su quello internazionale, è in essenza il suo doppio volto. Double face Meloni.
Giorgia Meloni è una cosa ma deve esserne un’altra.
“Io sono Giorgia”, con la sua vita da underdog della Garbatella, da sempre snobbata dalle élite e fintamente accolta dai circoli romani, fa i conti con il ruolo e le funzioni del Presidente del Consiglio Meloni.
La storia di riscatto della giovane donna di destra non riesce a venire a capo con quella di un Primo Ministro di un Paese del G7, secchione e goffo allo stesso tempo.
Allora affiorano sempre più prepotenti le contraddizioni: sulla famiglia, sulla politica estera, sui diritti civili, sulla fede, sulla difesa della patria, sull’amichettismo, eccetera. Sulla famiglia, tema forte della politica meloniana, è sotto gli occhi di tutti quanta discrepanza ci sia tra ciò che si sbandiera e la realtà. Tra unioni familiari tradizionali che vanno in frantumi, rapporti familiari prima esibiti perché funzionali alla narrazione e poi “celati” quando fa comodo appellarsi alla privacy.
Sulla politica estera, come già ampiamente raccontato sulle pagine di questa rivista, Meloni è stata finora in totale “calcomania” con gli Stati Uniti. E in totale opposizione alla creazione di un’Unione europea in grado di dire la sua.
Senza sbilanciarsi eccessivamente, quello di Meloni è forse il governo più atlantista degli ultimi anni, persino più di Draghi, di Renzi/Gentiloni/Letta.
Giorgia Meloni non sostiene Washington; al contrario, si affida completamente a Washington, addirittura privilegiando i rapporti con il democratico Biden piuttosto che con il più naturale interlocutore conservatore Trump. Paradosso e insieme ossimoro della storia.
A tal punto che oggi nessuno mette in dubbio l’appoggio italiano agli USA, ma in diversi iniziano a chiedersi se gli USA appoggino o meno noi.
Questa apertura senza se e senza ma, precedente quasi unico nella sua totalità, espone molto l’Italia, soprattutto se tenuto conto del fatto che viviamo una fase storica in cui gli USA hanno perso il pallino del mondo e non sono più il poliziotto del globo.
Per non parlare del contributo che il nostro Paese sta dando in Europa per cercare di arrivare alla pace: pressoché nullo.
In un Vecchio continente ormai statico e fuori dai giochi, che ha completamente rinunciato a esercitare il ruolo di pacificatore per cui si è costituito, l’Italia brilla per inerzia.
Sui diritti, poi, c’è stato un pericoloso arretramento. L’abolizione coatta (nel senso romano del termine, cioè realizzata con modi spicci) del reddito di cittadinanza è stata la prima prova che la cosiddetta destra “sociale” aveva rinnegato se stessa.
Centinaia di migliaia di famiglie sono state abbandonate al proprio destino, con misure alternative del tutto inefficaci a contrastare la crisi economica determinata dall’inflazione e dalle guerre. Si salvi chi può, è il motto del Governo.
Sulle più basilari regole di convivenza civile (come lo Ius Scholae), non è bastato che una delle tre gambe su cui poggia l’esecutivo, quella di Forza Italia, spingesse più o meno timidamente per provare a fare qualcosa. Tra l’altro, si ignora ciò che è ormai assodato in tutta Europa e non solo: la forza-lavoro che gli immigrati o gli Italiani di seconda generazione possono garantire è vitale per un Paese in cui la natalità è ai minimi storici.
Se il campo alternativo alla destra continuerà a essere slabbrato, state sicuri che Giorgia Meloni e i suoi continueranno a governare a lungo. Batteranno ogni record di longevità. E riusciranno – forse – a cambiare nel profondo l’Italia. Non in meglio, si intende.
Questo è il vero allarme che deve risuonare nella testa di tutti i progressisti italiani. Non è più il tempo dei giochi e dei veti. È il tempo di muoversi, di unirsi e di provare a fare qualcosa di buono per questo nostro Paese.