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“L’Italia tra neoliberismo e svolta autoritaria”: colloquio con Nadia Urbinati e Fabrizio Barca

C’è un Paese, l’Italia, in cui quarant’anni di politiche neoliberiste hanno aumentato il tasso di povertà, allargato le disuguaglianze e contribuito a ridurre la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Oggi quel Paese è attraversato da una profonda dinamica autoritaria che fiacca la democrazia, dalla compressione dei diritti alla repressione del dissenso passando per riforme istituzionali come il premierato e l’autonomia differenziata.

Tutto ciò non è casuale, perché neoliberismo e autoritarismo vanno a braccetto. È questa la tesi di fondo discussa lo scorso 20 giugno alla Libreria Spazio Sette, dietro Largo di Torre Argentina, a Roma, in un incontro organizzato dal Forum Disuguaglianze e Diversità e dall’associazione Volere La Luna.

Studiosi, attivisti e politici si sono cimentati nel racconto e nell’analisi di un’Italia in cui è in atto una «sistematica riduzione degli spazi democratici». TPI ne ha parlato a tu per tu con due dei relatori: la politologa Nadia Urbinati, professoressa di Scienze Politiche alla Columbia University di New York, e l’ex ministro Fabrizio Barca, co-coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità.

Nadia Urbinati
Sul piano istituzionale, spiega Urbinati, «le maggioranze che vogliono un governo autoritario mettono tipicamente mano alla Costituzione per depotenziare il ruolo del Parlamento e l’idea deliberativa di costruire le leggi sulla base di una rappresentanza che esprime tutte le parti della società. E per contro si rafforza la funzione esecutiva». Esattamente ciò che il centrodestra sta tentando di fare con il premierato, che la presidente Meloni ha definito, non a caso, «la madre di tutte le riforme».

«Ma la parola “premier” può confondere», osserva la politologa. «Io consiglierei di usare invece l’espressione “capo del governo”. Con questa riforma, infatti, si vuole che il capo del governo sia eletto direttamente insieme alla sua maggioranza. Sottolineo: la maggioranza eletta insieme al suo capo. Il Parlamento rimane a un livello inferiore, così come il presidente della Repubblica». «Così – prosegue Urbinati – rischiamo di ritrovarci con un vero e proprio bonapartismo, un sistema in cui il potere è “solitario” perché fondato solo sull’esecutivo».

«All’estero – fa notare la professoressa della Columbia – Meloni è vista come un’eccezione rispetto alla destra più “cattiva”. Tende a prevalere l’idea che una donna bionda, carina e bassa non possa provocare nulla di così malvagio. Ma la realtà è un’altra: Meloni rappresenta la legittimazione della destra più intollerante, quella che viene dalla tradizione degli anni Settanta e da quella prima ancora fascista».

«In Fratelli d’Italia – prosegue Urbinati – è assolutamente presente quell’ideologia autoritaria tipica del fascismo, fondata sulla gerarchia, sulla diseguaglianza e sull’umiliazione delle fasce più indigenti della popolazione». Lo dimostrano, ad esempio, l’abolizione del Reddito di cittadinanza e la continua colpevolizzazione dei migranti che sbarcano sulle coste italiane: «Questa è una destra che non ha mai abbracciato il valore dell’uguaglianza».

Secondo la politologa, siamo effettivamente davanti al rischio di una «compressione della democrazia». La destra estrema ha vinto le elezioni anche in Finlandia, in Austria, in Belgio, «ma  contrariamente a noi, questi Paesi hanno una tradizione molto più solida dal punto di vista democratico». «L’Italia, da questo punto di vista, può essere più simile all’Ungheria di Orbán, dove c’è una destra che non si è mai addomesticata alle regole della democrazia».

Fabrizio Barca
«L’impatto delle destre sulle politiche europee è evidente già oggi», rileva Barca. «Basta aprire il sito dell’Unione europea e leggere i lavori preparatori della Strategic Agenda 2024-2029: è una radicale modifica rispetto al documento di cinque anni fa. La parola centrale è “difesa”, la parola “sociale” è scomparsa e di “clima” si parla solo in funzione produttivistica ed efficientistica. Le destre hanno già portato a casa un grosso risultato». 

«È in atto una torsione bellicista, autoritaria e anti-partecipativa del moderatismo neoliberista», prosegue il co-coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità. «Alla luce di tutto questo, è naturale l’incontro tra la cosiddetta destra moderata, che peraltro effettivamente moderata non è mai stata, con la destra di Meloni».

Secondo l’ex ministro ed ex dirigente di Bankitalia, l’attuale presidente del Consiglio «è la persona più avanti e più adatta a realizzare la saldatura fra neoliberismo e autoritarismo». Da un lato, c’è la Meloni che, ad esempio nell’incitare la platea ultra-conservatrice spagnola di Vox, «acchiappa la rabbia delle persone criticando il neoliberismo, accusandolo di aver ridotto l’essere umano a consumatore e di aver realizzato delle politiche ambientali disumane».

Ma dall’altro lato, la stessa premier «garantisce al neoliberismo che non metterà in discussione i suoi principi fondamentali di concentrazione della conoscenza, perché porterà quella rabbia solo sul terreno identitario contro multiculturalismo e relativismo etico».

Barca scorge un legame diretto tra neoliberismo e autoritarismo. «Quarant’anni di neoliberismo – spiega – hanno prodotto enormi disuguaglianze e, ancora più importante, hanno avuto un effetto disumanizzante: oggi le persone non vengono più riconosciute nel loro ruolo di cittadini e hanno quindi rinunciato a pensare che ci si possa emancipare socialmente. Queste persone traducono così la loro rabbia nella richiesta di protezione almeno della propria identità, votando per i partiti che propongono politiche autoritarie».

«D’altro canto – prosegue Barca –  ormai il neoliberismo non è più “egemone”, nel senso che non ha più la capacità di convincere che porterà la felicità agli esseri umani, e quindi ha bisogno di strumenti di dominio».

Ma l’autoritarismo, sottolinea ancora il co-coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità, «è anche una risposta a un enorme aumento della complessità», dove per complessità si intende sia quella «che disorienta il singolo essere umano», ad esempio nel doversi relazionare ad altre persone attorno a sé che improvvisamente si rivelano diverse nel genere, sia quella che che rende più complesso prendere decisioni.

«Ho fatto l’amministratore pubblico per diciotto anni della mia vita – fa notare Barca – e posso dire che prendere decisioni oggi è enormemente più difficile rispetto a trent’anni fa, quando non c’era meno consapevolezza degli impatti di certe decisioni sulle donne, sull’ambiente e, in un certo senso, si fingeva di non accorgersi, ad esempio, delle ricadute delle nostre scelte su bambini che vivevano dall’altra parte del mondo e che ci permettevano di tenere basso il costo delle materie prime, quando la mole di dati disponibili era infinitamente inferiore, quando l’incertezza sistemica e la rapidità del progresso tecnico erano meno dirompenti». 

«Oggi – continua l’ex ministro – prendere decisioni pubbliche è molto più complesso. Di fronte a questa complessità le regole che abbiamo, gli standard, si rivelano ancora più inefficaci del passato. E quando le regole non sono efficaci, le alternative sono solo due: concentrare tutte le decisioni nelle mani di una sola persona oppure democratizzare la democrazia, cioè rafforzare gli strumenti partecipativi che coinvolgono gli esseri umani nel processo decisionale». 

«La vera battaglia contro l’autoritarismo – conclude Barca – non la si può fare solo prendendolo dalla coda, cioè quando viene limitata la libertà di parola o quando assistiamo a manifestazioni di protesta represse con la violenza: l’autoritarismo si sconfigge scavandogli la fossa: dimostrando, cioè, che una democrazia partecipata deliberativa che coinvolge le persone e rilancia il ruolo del Parlamenti è un’alternativa non visionaria e utopistica, ma eutopica. Cioè possibile. Si può fare».

LEGGI ANCHE: Francesca Albanese a TPI: “In Italia si fa disinformazione su Gaza. Rai e La7 non mi vogliono perché accuso Israele di genocidio”

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