Nei corridoi di un Parlamento europeo arrivato ormai agli sgoccioli della legislatura, a qualche giorno dall’ultima sessione plenaria, non si respirava affatto aria di fine impero, al contrario. Le sfide per i prossimi cinque anni, anche più dell’incombente competizione elettorale, dominavano i dibattiti soprattutto fuori dall’aula.
D’altronde, secondo le stime della piattaforma EU Matrix, almeno quattro eurodeputati su dieci (perlopiù appartenenti ai Partiti maggiori) manterranno il proprio seggio anche dopo le elezioni. Per una volta quindi, malgrado l’avanzata dell’estrema destra, l’incognita maggiore non sembrava (o, scaramanticamente, non voleva sembrare) la rielezione ma cosa succederà dopo il voto, specie ai confini del continente.
Le promesse, in particolare dei leader dei Paesi fondatori come Francia e Germania e dei vertici della Commissione Ue, sono tante e molto ambiziose: costruire una difesa comune, anche a prescindere dall’alleato americano; vincere la sfida dei cambiamenti climatici; e regolamentare il settore dell’Intelligenza Artificiale.
All’armi, siamo europei!
Prima la guerra in Ucraina, poi le tensioni nel Mar Rosso, quindi il rinfocolarsi del conflitto in Medio Oriente, con lo spauracchio del disimpegno Usa e il ritorno di Donald Trump, hanno spinto l’Ue a riconsiderare i progetti (accantonati da decenni) di una difesa comune. I risultati per ora sono modesti: a fronte dei 100 miliardi di euro prospettati dal commissario uscente per il Mercato Interno, Thierry Breton, la prima strategia europea per l’industria della difesa presentata dall’esecutivo comunitario prevede un programma da 1,5 miliardi per il biennio 2025-27.
Ma i Partiti si sono già lanciati avanti. Come si legge nel manifesto dei Popolari, l’obiettivo è creare un esercito europeo che soddisfi gli standard della Nato e integri le forze dei singoli Stati. Per i Socialisti invece, la base di ogni difesa comune resta proprio l’Alleanza atlantica tra i cui membri, secondo il manifesto del Pse, bisogna incoraggiare il coordinamento militare e gli investimenti congiunti attraverso appalti comunitari. I Liberali poi, la cui prima delle dieci priorità per le elezioni si intitola: “Difesa, difesa, difesa”, vogliono rafforzare sia la Nato che una politica militare comune. Anche i Conservatori si schierano a favore di maggiori investimenti nel settore ma sono contrari a una forza congiunta. Meno netti i Verdi, che puntano sulla «diplomazia climatica» e la transizione ecologica» come «strumento geopolitico», mentre la priorità della Sinistra resta fermare il riarmo. Emblematico in questo senso il botta e risposta a distanza tra la presidente della sottocommissione per la sicurezza e la difesa dell’Eurocamera, Nathalie Loiseau del gruppo Renew (e capo in pectore della prossima commissione parlamentare), e la sua vice tedesca Özlem Demirel della Linke. «Di fronte a un mondo sempre più pericoloso», sottolinea Loiseau, «l’Europa deve rafforzare la propria difesa per preservare la pace». «Chiediamo tutele sociali», ribatte Demirel, «invece di dare miliardi all’industria degli armamenti!».
Più che di soldati in carne ossa, si parla infatti di soldi. Come proposto dall’ex premier Enrico Letta nel suo ultimo rapporto, l’obiettivo è sviluppare un mercato comune della difesa che, come sottolineato anche da Mario Draghi, liberi l’Europa dalla dipendenza dall’esterno. Un affare colossale visto che dall’invasione russa dell’Ucraina, i bilanci degli Stati Ue per la difesa sono aumentati mediamente del 16 per cento, arrivando l’anno scorso a 552 miliardi di euro, un record dalla fine della Guerra fredda.
Green deal
Potrà stupire ma un argomento che, sulla carta, dovrebbe essere molto meno divisivo di una forza militare congiunta come la lotta ai cambiamenti climatici traccia linee ben più profonde tra le diverse anime politiche europee. Forse perché, a differenza dell’ancora fumosa difesa comune, tocca i gangli scoperti delle economie nazionali.
L’obiettivo di ridurre di almeno il 55 per cento le emissioni nette entro il 2030, coinvolgendo l’agricoltura, l’edilizia, i trasporti e le fonti energetiche e di materiali critici, ha diviso i Partiti europei. A partire da Popolari e Liberali, che promettono di attuare il Green deal ma con alcuni distinguo. Il Ppe propone infatti di aprire ai privati e lasciare spazio alle soluzioni elaborate da imprese e professionisti piuttosto che dai politici, mentre Renew si schiera dalla parte degli agricoltori ricordando che «clima e agricoltura sono due facce della stessa medaglia». Gli fanno eco i Socialisti e i Verdi che invece promuovono un nuovo «Patto ecologico e sociale» ripetendo che «giustizia climatica e giustizia sociale sono due facce della stessa medaglia». Conservatori e Sinistra invece, entrambi fuori (ma da lati opposti) alla maggioranza Ursula, chiedono una «revisione» della politica ecologica, che guardi più agli interessi dei cittadini comuni.
«Il Green Deal è un buon risultato, per alcuni (i Verdi) è troppo poco, per altri (l’estrema destra) è troppo», ci spiega il deputato socialista tedesco Tiemo Wölken, membro della Commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare dell’Europarlamento. «Per raggiungere una transizione “giusta” dobbiamo però elaborare una strategia industriale europea che si coniughi con le istanze sociali. La riforma del regolamento dell’edilizia, ad esempio, si concentra per ora sugli edifici pubblici, con una tabella di marcia specifica. Poi vedremo per il settore privato, ma non possiamo certo obbligare le persone a vendersi casa per rispettare gli standard energetici».
Competizione digitale
Su un punto invece, i grandi Partiti sembrano abbastanza d’accordo: la necessità di regolamentare il settore dell’intelligenza artificiale. A marzo, dopo un lungo negoziato con i governi, il Parlamento europeo ha approvato la prima legge al mondo in questa materia con una maggioranza schiacciante e trasversale.
Pochi i distinguo segnalati finora in campagna elettorale, con il Pse a rivendicare il successo dell’AI Act, definito a TPI dal co-relatore del Pd Brando Benifei «un chiaro messaggio ai cittadini: fidatevi della tecnologia perché sarà adottata rispettando regole certe». Ma se i Socialisti promettono ulteriori controlli sull’IA e di «rafforzare i diritti online», il Ppe propone di «aumentare gli investimenti per garantire all’Ue un ruolo leader del settore». D’accordo con il Pse la Sinistra e i Verdi, mentre i Liberali puntano sull’innovazione senza però dimenticare le preoccupazioni «riguardo al rischio di rafforzare il dominio di Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft e di avere solo una manciata di aziende che controllano» il settore. Sebbene abbiano votato in gran parte a favore del testo approvato nell’ultima legislatura, i Conservatori propongono invece di «rivedere e aggiornare» la legge «man mano che si svilupperà». Non sarà certo l’unico tema che la destra vorrà ritoccare in caso ottenga buoni risultati alle urne.