L’attacco di Hamas a Israele è brutale e deprecabile, per chi scrive la violenza non è mai la soluzione perché ne genera di ulteriore e a subirne le conseguenze sono prima di tutto gli innocenti. Innocenti come le ormai quasi tremila vittime palestinesi massacrate dalla brutale vendetta del premier Benjamin Netanyahu che genererà solo ulteriore odio e ancor più insicurezza per i cittadini israeliani.
Giustamente sono stati definiti terroristi gli aggressori, però come definire uno Stato che da decenni costringe a una condizione di apartheid il popolo palestinese?
Responsabilità storiche
Il percorso di occupazione cominciò nel 1948 con la nascita di Israele e la “Nakba” palestinese, cioè un esodo forzato di oltre 700mila residenti arabi che furono costretti a lasciare le proprie città ed i propri villaggi. Il loro esodo doveva permettere la nascita dello Stato d’Israele. Il 4 dicembre del 1948 il New York Times pubblicò una lettera scritta da importanti intellettuali ebrei, tra cui Albert Einstein; in essa chiaramente si definisce l’azione sionista in Israele equivalente a quella dei nazisti e fascisti in Europa.
Il 5 giugno del 1967 tramite la cosiddetta “Operazione Focus”, Israele iniziò la Guerra dei Sei giorni. Con quell’attacco si impossessò delle Alture del Golan, della striscia di Gaza, della penisola del Sinai e di Gerusalemme est. Tra il dicembre 2008 e il gennaio 2009, si ebbe “Piombo Fuso”. Non è corretto definirla guerra perché la contrapposizione fu tra uno degli eserciti più potenti del mondo e dei civili armati di fionde e razzi artigianali. Il 2009 per Gaza fu l’anno di una carneficina che causò tra i 1.166 e i 1.417 morti, tra cui centinaia di bambini.
Nel luglio del 2014, si ebbe l’operazione denominata “Margine di protezione”, forse ancor più terrificante di “Piombo fuso”. Secondo Amnesty International, quell’estate ci furono centinaia di attacchi aerei su tutta la striscia di Gaza, che distrussero abitazioni senza sufficiente preavviso per l’evacuazione né per la predisposizione di rifugi e vie sicure per la popolazione; centinaia di strutture mediche, almeno sei scuole gestite dall’Onu e l’unica centrale elettrica di Gaza furono colpite. Il 27 agosto di quell’anno i morti palestinesi erano 2.139 tra cui oltre 500 bambini, e più di 8.600 i feriti.
Oggi, si biasima a reti unificate l’orrore di Hamas, però da decenni vige un silenzio tombale sulle angherie che stanno subendo i palestinesi che si sono visti occupare illegalmente immensi territori, come certificato da diverse risoluzioni dell’Onu. La vera responsabile è la comunità internazionale che ha lasciato che questa piaga marcisse.
Il bene più prezioso
Qualche giorno fa il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, aveva fatto capire cosa pensa questo nefasto governo di destra del martoriato popolo palestinese: «Niente elettricità, niente cibo, niente gas, non entrerà più nulla. Stiamo combattendo degli animali umani e agiremo di conseguenza». A Gaza circa la metà della popolazione è composta da minorenni e come si può pensare di non generare odio nei suoi abitanti che sono costretti da decenni a sopravvivere in una sovraffollata prigione a cielo aperto? La stessa Onu l’ha definita inabitabile.
Ricordo che a Dror Eydar, allora ambasciatore d’Israele in Italia, in audizione in Commissione Esteri, dissi: «Liberate le terre che avete occupato illegalmente, non schiacciate il popolo palestinese, si cooperi per la soluzione a due Stati (depositai anche una mozione per il nostro riconoscimento dello Stato di Palestina) che possono convivere in pace, fatelo prima di tutto per la sicurezza di Israele». Ma la ferita si preferisce non curarla e ora si sta riacutizzando per via di uno scenario internazionale estremamente complesso, destinato ad aggravarsi. Gli attacchi di Hamas sono favoriti dalle divisioni interne di Israele, dall’ausilio dell’Iran finalizzato a far saltare gli Accordi di Abramo tra sauditi e israeliani.
Ora il conflitto rischia di estendersi e il pericolo potrebbe essere, in prospettiva, di un coinvolgimento degli Stati Uniti contro l’Iran che riceverebbe ausilio dalla Russia. La vera questione è sempre la stessa e l’ho descritto nel libro “La Resa dei Conti”: il puzzle dell’ordine mondiale post-guerra fredda si sta disgregando e l’instabilità, se non frenata in tempo, è destinata ad aumentare come una slavina fino a travolgere del tutto il bene comune più prezioso che abbiamo: la Pace.