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Mediobanca: l’ultima battaglia dei “poteri forti” (di R. Gianola)

Spesso evocati dal Governo e dalla politica quando lo spread aumenta, quando la Borsa crolla, quando i giornali scrivono che la manovra di Bilancio è insostenibile, i cosiddetti “poteri forti”, ritenuti ispiratori di veri o presunti complotti, si cimentano in questi giorni nella battaglia di Mediobanca. 

Come tradizione l’assemblea degli azionisti dell’istituto è convocata per il 28 ottobre per approvare il bilancio, ricco come sempre, e soprattutto per rinnovare il consiglio di amministrazione. Questa è la vera battaglia.

Da una parte c’è il management guidato dal presidente Renato Pagliaro e dall’amministratore delegato Alberto Nagel, il tandem che ha traghettato fino a oggi Mediobanca dopo la lunga, storica stagione di Enrico Cuccia e dell’ex fedelissimo Vincenzo Maranghi. I due manager si difendono anche con un’inusuale campagna pubblicitaria.

Dall’altra parte c’è la composita dinastia Del Vecchio che, dopo la scomparsa del fondatore Leonardo un anno fa, non rinuncia al disegno di assumere la guida della banca o almeno di condizionarla pesantemente. Accanto c’è Gaetano Caltagirone. Entrambi i gruppi hanno rastrellato negli ultimi anni quote di capitale di Mediobanca e delle Assicurazioni Generali. Un accerchiamento insistente e costoso che ha messo in difficoltà i vertici di Mediobanca, custodi della tradizione anche se con qualche timida innovazione. 

Cosa vogliono Delfin, la finanziaria dei Del Vecchio, e Caltagirone? Contestano una strategia cauta, incapace di portare Mediobanca a dimensioni e valori molto più elevati di quelli attuali, sollecitano una modernizzazione che consenta all’istituto di giocare un ruolo più internazionale, anche con acquisizioni e fusioni se necessario, con una diversificazione delle attività.

Ma il vero obiettivo è mettere le mani sulle Generali, la perla del sistema finanziario, di cui Mediobanca ha il 13% e da sempre è l’azionista di riferimento, attorno al quale si crea il controllo. Se prendi la maggioranza di Mediobanca puoi controllare le Generali e costa molto meno che non puntare direttamente sulla compagnia del Leone. 

Del Vecchio, i cui interessi oggi sono guidati dal suo manager di fiducia Francesco Milleri, possiede oltre il 9% delle Generali (con l’autorizzazione a salire fino al 20%) e il 19% di Mediobanca. Potrebbe sferrare un attacco decisivo. E poi? Cosa ci guadagna il Paese? Non è solo un gioco privato per capitalisti. Mediobanca è una ricca preda, ma non è più la regista dell’economia, non è più la stanza di compensazione delle tensioni dell’industria privata.

L’istituto, creato nel 1946 da Raffaele Mattioli ed Enrico Cuccia per risollevare il Paese dopo la tragedia della guerra e controllato fino agli anni Novanta dalle banche dell’Iri, deve aggiornare la sua missione. È una banca d’investimento, opera sui mercati dei capitali, ma i profitti derivano principalmente dalla quota nelle Generali, a cui si aggiungono le attività di Chebanca! (banca retail) e Compass (credito al consumo). 

Il 28 ottobre, dunque, la parola ai soci. L’affluenza prevista potrebbe superare il livello del 75%, con Delfin e Caltagirone che hanno il 30% dei voti mentre il management può contare sul 10% del fedele patto di consultazione, oltre a voti amici come Unipol (2%). Anche il sostegno dei fondi, che spesso hanno beneficiato dei solidi dividendi di Mediobanca, sarà cruciale. 

C’è infine una sorpresa. Poste Italiane, che fa capo al Tesoro e alla Cassa Depositi Prestiti e che raccoglie miliardi di risparmio dagli italiani, è entrata nel capitale di Mediobanca con una quota appena superiore all’1%. Poste assicura che si tratta di un investimento e che non voterà in assemblea. Possibile. Però la notizia è sensibile, suscita qualche dubbio e non si può escludere un interesse del Governo per orientare lo scontro in piazzetta Cuccia vista la vicinanza di Caltagirone con il Governo Meloni. L’editore romano, tra l’altro, aveva proposto l’attuale amministratore delegato di Poste, Matteo Del Fante, alla guida delle Generali. A pensare male si fa peccato, ma qualche volta ci si prende, diceva Andreotti.

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