Andare dallo psicologo è ancora un tabù? Sembrerebbe di no. Il supporto pubblico alla psicologia e il parlare apertamente delle proprie difficoltà ha visto in prima linea, in un costante crescendo negli anni recenti, personalità dello spettacolo e dello sport. Solo per citarne alcuni all’estero: Jennifer Lopez, Lady Gaga, Jim Carrey, J.K. Rowling, Michael Phelps, i principi William e Harry. Da noi Gigi Buffon, Federica Pellegrini, Vasco Rossi. Fino ad arrivare al giorno d’oggi con Chiara Ferragni, che è entrata in dettagli non soltanto legati al suo vissuto ma anche al suo percorso di supporto, fino a discutere di metodi e approcci terapeutici.
La vera svolta culturale e sociale, però, viene dai più giovani, vittime di malessere e disagio oggi più che in passato, ma anche dalla voglia di parlarne e da una diversa e maggiore consapevolezza. Come sui temi ambientali i giovani scendono in campo sui diritti psicologici, rompendo un muro di vergogna che ci portiamo dietro da troppi anni.
I ragazzi sono consapevoli dell’importanza della psicologia per capire se stessi, gli altri e la realtà lungo un normale processo di sviluppo in un mondo troppo complesso per lasciare tutto questo alla sorte e alle pressioni del contesto.
Lo dicono chiaramente nella ricerca Unicef “The future we want”, dove rivendicano il poter disporre di servizi per questo scopo, supporto alla crescita, prevenzione, sostegno o cura quando serve. E lo confermano nel sondaggio del portale Studenti.it, dove quasi otto giovani su dieci affermano che consultare lo psicologo è utile e sette su dieci avendo la possibilità lo farebbero. Non necessariamente in ottica di cura ma prima di tutto di ascolto e aiuto.
Insomma, i ragazzi non solo hanno rotto il tabù ma hanno capito che non basta curare, bisogna promuovere e prevenire, che la psicologia può aiutarli ad orientarsi, a prendere in mano la propria vita. Non è un caso che la loro paura più grande (uno su due) è non riuscire a trovare la propria strada nella vita, non riuscire a costruire e raggiungere obiettivi personali e validi.
A conferma di questa tendenza, giungono i dati relativi ai compensi percepiti nel 2021 dagli psicologi (dichiarazione reddituale Enpap, l’ente di previdenza della categoria): emerge un significativo aumento dei redditi dei professionisti del benessere psicologico, a fronte di un aumento della richiesta di supporto psicologico da parte dei cittadini.
Nel complesso, su tutto il territorio nazionale, i redditi netti sono aumentati del 28,57% (si erano invece ridotti del 5,62% nel 2020), assestando la media dei redditi netti a 17.426,29 euro (13.554,41 nel 2020). E un dato eccezionale si registra al Sud, dove redditi e fatturato della Psicologia crescono complessivamente del 38,04%.
La crescita dei redditi degli psicologi rispecchia l’aumentata richiesta di aiuto psicologico a seguito delle difficoltà legate alla pandemia: come ha registrato l’Organizzazione mondiale della Sanità, c’è stato un incremento del 25% dei disturbi emotivi comuni, in particolare ansia e depressione, e dopo la fase più acuta della pandemia, il lockdown, l’ansia è aumentata di un ulteriore 10%. Ma il dato è destinato a crescere ancora, a causa delle ulteriori incertezze entrate nel quotidiano dopo l’inizio della guerra Russia Ucraina.
Uno studio condotto da Elma Research, pubblicato in occasione della Giornata mondiale della Salute Mentale 2022, ha rilevato che il 65% degli italiani ha dovuto fare i conti con un crescente e pervasivo disagio psicologico.
«Nel 2021 gli italiani hanno usufruito di 1,7 miliardi di euro di prestazioni psicologiche, oltre il 25% in più rispetto al 2020 (1,2 miliardi di euro). Questi dati dimostrano l’enorme bisogno di Psicologia degli italiani, che sono però costretti a rivolgersi al mercato privato per l’insufficiente offerta da parte del sistema pubblico», commenta Federico Zanon, vicepresidente di Enpap.
«La domanda dei cittadini dimostra che la Psicologia va considerata un servizio necessario, offerto dallo Stato. Dove questo avviene, come nel Regno Unito con il programma Iapt, è stato dimostrato che la Psicologia funziona e ripaga il proprio costo perché fa risparmiare alla collettività i costi sociali dovuti al disagio psicologico».
Ne abbiamo parlato con Ada Moscarella, didatta della Scuola di Psicoterapia analitica di gruppo Nuova Clinica Nuovi Setting. «L’accesso al servizio, per la fascia 20-30 privati, riguarda maggiormente donne», spiega. «In generale abbiamo avuto un grosso aumento dei redditi, ciò significa che abbiamo venduto più prestazioni di psicologia, in termini anche di raddoppio dei redditi in alcune regioni. Il tutto è avvenuto durante o dopo la pandemia».
Secondo Moscarella, vi è stato l’incrocio di due fattori: «Il primo è che c’è stata una specie di normalizzazione dell’ansia e di certe emozioni, specie durante la pandemia. Dire “Sto un po’ in ansia” è stato più facile e non necessariamente addebitato a una debolezza. Inoltre vi è stata una grossa diffusione di servizi di psicologia ad accesso più facile come “Unobravo”. I servizi online sono più accessibili, incrociano maggiormente la domanda. Il riscontro infatti è grosso».
Ma quali sono le esigenze, e perché ci si rivolge allo psicologo? Moscarella spiega che «per la fascia 20-40 anni, più che per conclamate esigenze cliniche, si va per paura verso il futuro, per il lavoro precario, per interrogativi sul fare o meno un figlio. La domanda è più di carattere esistenziale-relazionale. C’è incertezza».
«I giovani rappresentano la fascia più serena nell’andare dallo psicologo e che porta anche domande più puntuali», prosegue Moscarella, «È aumentato l’atteggiamento per cui, se c’è un problema, anche circoscritto, le persone si rivolgono allo specialista e fanno anche percorsi più brevi. Vengono anche per l’aspetto consulenziale, non solo psicoterapico. Per i ragazzi è quasi “figo”, non nel senso di moda, ma si sentono grandi. I ragazzi adolescenti si sono fatti due anni di pandemia, non sono stati facili».
Ma in questo contesto qual è il ruolo “giusto” dello psicologo? Insomma, il rischio di “correre” dallo psicologo per piccole questioni esiste? La parola resta agli specialisti: «Bisogna rendersi conto che ci sono diversi livelli di aiuto che si può dare», afferma Moscarella.
«Da un lato occorre valutarne la difficoltà che oggettivamente ha la persona, dall’altro lato bisogna tenere in considerazione che rispetto a dieci-vent’anni fa noi viviamo una condizione per cui molta gente si è allontanata dalle famiglie di origine e questa cosa ha significato perdere tutti i punti di riferimento. Persone con cui si andava a discutere dei problemi della vita quotidiana. Da questo punto di vista l’abilità che dovremmo avere noi come professionisti è quella di renderci conto che alcune situazioni richiedono una terapia breve. Fare il mio mestiere significa anche poter essere importanti per qualcuno, ma se le persone iniziano a inserire anche lo psicologo nella sfera delle persone cui rivolgersi se si ha un problema semplice, lo specialista non ne deve abusare».