Mentre si registrano periodicamente le evidenze nefaste del memorandum firmato con la Libia sette anni fa, l’Unione europea sigilla un nuovo patto disumano, questa volta con la Tunisia. Dopo settimane di trattative l’accordo che prevede il sostegno finanziario da Bruxelles in cambio dell’attuazione di riforme economiche e (soprattutto) del controllo delle frontiere è stato firmato a Tunisi dal presidente tunisino Kaïs Saïed, dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal premier dimissionario olandese Mark Rutte.
Sulla carta, il memorandum d’intesa è una dichiarazione d’intenti politica tra Unione europea e Tunisia per migliorare le relazioni bilaterali e affrontare le sfide comuni in modo «strategico e globale». Il testo non è vincolante di per sé, ma presenta una serie di piani d’azione da trasformare in strumenti giuridici approvati dagli Stati membri prima di essere attuati. Gli ambiti di cooperazione sono cinque: stabilità macro-economica, commercio, transizione energetica, scambi e contatti fra le popolazioni, e migrazione.
Condizioni vaghe
Per ognuno ci sono progetti di investimento e cooperazione, molti dei quali comportano l’erogazione diretta di fondi dal bilancio dell’Ue: in tutto più di 700 milioni, a cui potrebbero aggiungersene presto altri 900 vincolati alle riforme prescritte alla Tunisia dal Fondo monetario internazionale. Nel dettaglio, ci sono 150 milioni di euro come sostegno al bilancio del governo tunisino dato che il Paese è considerato sull’orlo della bancarotta, 307,6 milioni di euro per lo sviluppo di Eelmed, un cavo sottomarino per lo scambio di energia elettrica e altri 150 milioni (in questo caso comprensivi di prestiti della Banca europea per gli investimenti) per la costruzione di Medusa, un altro cavo sottomarino che utilizzerà la tecnologia della fibra ottica per consentire ai tunisini la connessione a Internet.
Per la gestione specifica dei flussi migratori sono previsti 105 milioni, da utilizzare per combattere il traffico di esseri umani, rafforzare la gestione delle frontiere e rimpatriare nei Paesi d’origine le persone arrivate in Tunisia irregolarmente. Il denaro sarà fornito alle autorità tunisine sotto forma di motovedette per la ricerca e il salvataggio, jeep, radar, droni e altri tipi di attrezzature per il pattugliamento, ma anche alle organizzazioni internazionali che lavorano sul campo, come l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) e l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr).
La Tunisia si impegna a sostenere la riammissione dei propri cittadini che si trovano irregolarmente nell’Ue – attenzione, non quelli di altri Paesi – ma l’erogazione dei fondi non sarà legata ad alcun obiettivo numerico di riammissioni annuali o di riduzione degli arrivi, né conterrà disposizioni aggiuntive sui diritti umani, oltre alle tradizionali clausole che l’Unione europea attribuisce ai suoi programmi di cooperazione con Paesi terzi. E su questo punto, ossia sulle modalità delle appropriazioni di fondi, il testo dell’accordo è molto vago. Così come le eventuali condizionalità che i leader europei legittimamente imporrebbero alla Tunisia.
Veri propositi
Un aspetto di non minore importanza, che sembra “sfuggire” ai leader europei, è che lo scioglimento del Parlamento tunisino, l’arresto degli oppositori, i processi ai giornalisti, fanno del presidente tunisino Kaïs Saïed un interlocutore difficile da annoverare tra gli esempi di quei valori che a Bruxelles si sbandierano. Il presidente ha acquisito un potere quasi assoluto dopo la sospensione del parlamento del Paese nel 2021. Le autorità hanno messo sotto indagine e, in alcuni casi, arrestato almeno 72 esponenti dell’opposizione e altre persone critiche nei confronti del capo dello Stato, accusandoli di vari reati.
Ma l’Ue si genuflette a queste logiche e in nome della real politik, anche questa volta, preferisce chiudere gli occhi. Perché? Perché ha bisogno dell’energia tunisina (gas, ma pure interconnessioni agli impianti di energia da fonti rinnovabili) e di progressi sull’immigrazione, dossier che continua dividere gli Stati dell’Unione. Al momento la cosiddetta «dimensione esterna» della questione migratoria, vale a dire accordi con Paesi di origine e transito per bloccare le partenze, resta l’unico vero collante tra i Ventisette. Per questo attuare il protocollo Ue-Tunisia per Von der Leyen, Meloni e Rutte è così importante.
Pare chiaro che dietro la volontà di combattere i trafficanti di esseri umani evidenziata nel memorandum, ancora una volta l’Unione europea intenda velatamente offuscare i propri reali obiettivi, ovvero fermare i migranti. Inoltre, nonostante gli annosi tentativi di focalizzare le politiche sull’eliminazione dei trafficanti, i migranti continuano a utilizzare le rotte Mediterranee per raggiungere l’Europa. A conferma del fatto che invece di piegarsi ad accordi di breve periodo e di dubbio rispetto dei diritti umani, sarebbe più utile e lungimirante lavorare sulle cause delle migrazioni, tra cui il cambiamento climatico, le erosioni dei diritti civili, e le persecuzioni di oppositori politici nei Paesi di provenienza, e ancor più i conflitti e la crisi alimentare.
Senza garanzie
Nonostante gli obiettivi di stabilità e sviluppo, questo accordo pare più che altro rafforzare il potere assoluto del presidente tunisino. Un leader che dopo aver eliminato gran parte dei suoi rivali politici e imposto una costituzione che rimuove ogni controllo sulla sua autorità, non pare però avere le capacità di risolvere i problemi economici del Paese. Ma i governanti europei paiono puntare su di lui, sacrificando l’imposizione di qualsiasi condizionalità sull’altare del controllo dei migranti. Inoltre, nello specifico non pare esserci alcuna garanzia che i fondi dell’Unione europea finanzino adeguatamente le forze di sicurezza e la guardia costiera.
È sconcertante registrare che nello stesso periodo in cui la Tunisia e l’Unione europea si apprestavano a firmare questo accordo, le autorità della nazione nordafricana abbiano lasciato centinaia di persone, bambini compresi, intrappolate alle frontiere desertiche del Paese, inizialmente prive di acqua, cibo o riparo.
Se dal punto di vista politico i recenti sviluppi costituiscono dunque dei passi avanti, il contenuto del memorandum suscita invece più di un dubbio, a partire dalla mancanza di forme concrete di salvaguardia contro le violazioni dei diritti umani perpetrate dalle autorità tunisine contro i migranti. Anzi, la legittimazione politica che il presidente Saïed trae dalla firma di un accordo di questo genere potrebbe anche rassicurarlo sulla possibilità di proseguire con questa condotta. Rafforzando i poteri del presidente tunisino Kaïs Saïed e indebolendo lo stato di diritto nel Paese, un tale accordo pone le basi per rafforzare i trafficanti e incentivare la migrazione illegale piuttosto che frenarla. Inoltre, con il rafforzarsi di un’ulteriore dittatura in Nord Africa, l’Italia e l’Europa tacitamente ne avallano la deriva sempre più autocratica, allontanando la regione dallo stato di diritto e costruendo partenariati con leader fragili, inaffidabili e non sottoposti ad alcun controllo democratico. Non occorre certo ricordare quanto accaduto – e ancora accade – in Libia, un Paese senza stabilità e insicuro per migranti e cittadini per comprendere gli effetti di un tale approccio politico.
Tutti scontenti
La firma dell’accordo ha scatenato le reazioni di più parti politiche in Italia. Il segretario di +Europa Riccardo Magi definisce «un errore» quello di «pagare un regime, come quello della Tunisia, che non dà alcuna garanzia del rispetto dei diritti umani. Il risultato – spiega Magi – sarà che noi copriremo di soldi Tunisi, che per tenersi i migranti i primi mesi commetterà le peggiori violazioni dei diritti e della dignità delle persone, per poi tra qualche mese ritrovarci al punto di partenza, con gli sbarchi che non si fermeranno, i centri di accoglienza pieni e centinaia di persone che oltre a fuggire dal loro paese d’origine saranno costretti a scappare anche dalle carceri tunisine».
Dello stesso tenore è anche la riflessione di Emergency che sottolinea come l’accordo sia stato «stipulato sulla pelle delle persone»: «Il copione applicato in Libia – spiega la ong – è destinato a ripetersi: anziché gestire la migrazione in modo strutturale e umano, l’Europa sceglie ancora di appaltare la gestione dei flussi migratori a un Paese insicuro e instabile». I parlamentari del Movimento 5 Stelle delle Commissioni Politiche Ue di Camera e Senato sottolineano come l’accordo rischi «di essere inutile» e di «alimentare reati, visti i gravi crimini contro i migranti sub-sahariani commessi dalle forze dell’ordine tunisine e la repressione di ogni dissenso politico e civile nel Paese».
Come ricorda l‘associazione Baobab Experience, «il memorandum è arrivato nonostante tutto, con una Tunisia in piena campagna razzista e xenofoba ad opera dello stesso presidente Saïed. Nel mirino, i migranti subsahariani residenti in Tunisia o in transito verso l’Europa». Del resto, Saïed nega tutto: «Gestione dei migranti violenta? Fake News dalle ong». «Questo accordo mal ponderato, firmato nonostante le evidenti prove di gravi violazioni dei diritti umani da parte delle autorità tunisine, comporterà una pericolosa proliferazione di politiche migratorie già fallimentari e segnalerà l’accettazione da parte dell’Unione europea di un comportamento sempre più repressivo da parte del presidente e del governo di Tunisi», ricorda anche Eve Geddie, direttrice dell’ufficio di Amnesty International presso le istituzioni europee.
Trasformare la Tunisia nella nuova Libia non è la soluzione alla questione migratoria, ciò rende l’Unione europea complice delle sofferenze che inevitabilmente ne deriveranno.