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Occhetto a TPI: “Anche la sinistra si è berlusconizzata”

Nel 1994, vincendo a sorpresa le elezioni politiche e dando inizio alla “seconda repubblica”, Silvio Berlusconi segnò, di fatto, la fine politica di Achille Occhetto, l’ultimo segretario del Pci e il primo del Pds, che all’epoca guidava la coalizione dei Progressisti.

Occhetto, quella sconfitta la rimprovera di più a Berlusconi o a se stesso?
«Non vedo cosa dovrei rimproverarmi, nessuno se l’aspettava. Ma ero comunque consapevole del fatto che noi Progressisti, da soli, non avremmo vinto. Tant’è che prima del voto, in una conversazione con Mino Martinazzoli (del Partito Popolare, ndr), pensammo che dopo le elezioni avremmo potuto richiamare Ciampi come presidente del Consiglio». 

Poi, però le cose non andarono secondo i piani.
«Il Pds guadagno il 4% e anche Rifondazione Comunista ebbe un buon risultato: la nostra coalizione fu l’unica a non essere travolta dal nuovo populismo berlusconiano. Solo che i Popolari persero rovinosamente e il Partito Socialista si ridusse al 2%. A quel punto non si poté dar seguito all’opzione Ciampi». 

E a palazzo Chigi ci finì Berlusconi.
«Berlusconi era la novità: coprì quel vuoto che aveva spaventato una parte della società italiana dopo Tangentopoli e la stagione delle stragi di mafia. Gianni Agnelli, uno che certo non amava Berlusconi, disse: “Sosteniamolo: se vince lui, vinciamo tutti; se perde, perde lui solo”». 

A chi si riferiva con quel «tutti»?
«A una sistema d’interessi che aveva paura, non tanto del comunismo, ma di qualsiasi tipo di sinistra che potesse riempire quel vuoto. Corsero al riparo, accettando una leadership populista che metteva insieme un partito nazionalista di destra e un partito secessionista, più tutti i vecchi rottami del pentapartito».

Lei, Occhetto, guidava la «gioiosa macchina da guerra», Berlusconi un partito fondato pochi mesi prima… Non è che lo sottovalutaste?
«La vera responsabilità della sinistra fu che, di fronte ai primi passi di Berlusconi, non seppe dare un’interpretazione culturale sistemica alta del berlusconismo. Si abbandonò agli aspetti di facciata, di comunicazione, alle questioni di carattere morale, agli scandali, mentre il tema centrale era quello del conflitto d’interessi, del fatto che, con lui, veniva stravolta la politica italiana». 

In che modo veniva stravolta?
«Nei giorni scorsi un commentatore ha fatto notare che al funerale di Berlusconi c’era la sintesi del berlusconismo: la sua grande azienda, la sua squadra di calcio, il suo partito. Ecco, si può pensare che un uomo qualsiasi, che si presenti alla politica a mani nude, come fecero ad esempio De Gasperi, Togliatti, Berlinguer, o io stesso, possa mettere insieme tutto ciò? Il tema è molto serio: se si prosegue su questa strada, solo gli ultra-milionari potranno fare politica, i normali cittadini no».

E allora come mai in questi trent’anni la sinistra non ha mai fatto una legge sul conflitto interessi?
«Luciano Violante lo disse in Parlamento: “A Berlusconi è stata data la garanzia piena nel 1994 che non sarebbero state toccate le televisioni”. Io in quel momento ero già fuori dai giochi, ma criticai l’impostazione di quella sinistra».

Nella memoria collettiva degli italiani la campagna elettorale del 1994 è riassunta dal faccia a faccia tv tra lei e Berlusconi. Del leader di Forza Italia si ricorda il sorriso largo; di lei, Occhetto, il completo marrone. Lo ammetta: in comunicazione il Cav ha sempre asfaltato la sinistra…
«Guardi, la storia del vestito marrone è stata enfatizzata. Arrivavo trafelato da un comizio a Bologna: indossavo un completo grigio, che però accidentalmente si sporcò. Mi misi quindi il primo abito che avevo davanti, di colore marrone. A riguardarlo oggi, devo ammettere che era effettivamente brutto. Detto questo, però, come si fa a non vedere il ridicolo – lo scriva, ri-di-co-lo – del fatto che, a trent’anni di distanza, dopo tutto quello che è successo, si debba ancora parlare del completo marrone? A posteriori avrei messo un altro vestito, certo, ma avremmo perso comunque le elezioni».

Cosa sarebbe accaduto all’Italia se aveste vinto voi?
«Gliel’ho detto: avremmo fatto Ciampi di nuovo premier».

Intendevo nel lungo periodo.
«Non lo si può dire. Prenda la crisi del 2008, che ha cambiato la storia mondiale impoverendo il ceto medio: nessuno poteva presagirla».

Con Berlusconi vi siete mai più sentiti dopo il 1994?
«No. Lo vidi solo una volta, fugacemente, subito dopo le elezioni, prima che mi dimettessi da segretario del Pds. Ci fu un grande ricevimento in onore di Bill Clinton: gli feci gli auguri. Accanto a lui c’era la moglie, Veronica Lario, che disse: “Sarà dura”. Risposi: “Sì, hai ragione sarà molto dura fare politica in prima persona”».

Prodi, D’Alema, Bersani, Fassino: dopo la sua morte, da sinistra, in molti hanno usato parole benevole verso Berlusconi. E lei?
«Sul piano personale non ho mai avuto nessun elemento di contrarietà nei suoi confronti. Il mio giudizio politico, però, è severo. Al contrario, non è stato severo in modo serio da parte di coloro che adesso partecipano all’ipocrisia del lutto».

Berlusconi ha cambiato l’Italia «nel bene e nel male», come sostiene qualcuno, o solo nel male?
«Ha cambiato l’Italia in un modo che a me non piace. Non ha fatto alcuna riforma seria, è partito con l’idea della rivoluzione liberale guidata dal centro e poi ha progressivamente immesso elementi di destra nel centro. Ha fatto l’apprendista stregone, creando le figure che poi si sono rivoltate contro di lui: Salvini e Meloni».

Giusto fare i funerali di Stato e proclamare il lutto nazionale?
«Sui funerali di Stato non discuto. Ma il lutto nazionale è stato sbagliato: non ci fu neanche per la morte di Falcone, né per Pertini o per altri grandi leader. Berlusconi è stato un uomo divisivo».

Pensa che nelle commemorazioni di queste settimane ci sia stato un eccesso di clemenza nei suoi confronti?
«No. Dopotutto, i limiti di fondo del berlusconismo sono stati evidenziati. E man man che passerà il l’emozione, emergeranno ancora di più».

È stato più rilevante l’impatto di Berlusconi sulla politica o quello sulla cultura di massa?
«L’impatto sul costume è stato decisivo: in generale c’è stato un abbassamento dei valori. Berlusconi ha confuso la libertà con l’arbitrio, ha incarnato un certo disprezzo per le regole e le tasse: una cultura che non ha niente a che vedere non dico con la mia tradizione di sinistra ma neanche con la tradizione liberale». 

Anche la sinistra si è berlusconizzata?
«In qualche modo sì. Si è berlusconizzata nella misura in cui ha progressivamente fatto proprio l’elemento della politica basata sull’immagine e sul leaderismo. Ma ciò ha contagiato anche il sistema informativo».

Cosa intende dire?
«I giornalisti oggi non mettono più in evidenza l’analisi strutturale dei movimenti della società ma solo le personalità e il loro presentarsi. I “completi marroni”, per capirci». 

L’erede politico è Giorgia Meloni?
«Mi sembra normale. Il berlusconismo è morto con la vittoria alle elezioni di Giorgia Meloni».

Cosa cambia adesso nel panorama politico?
«Molto difficile dirlo. Dipende anche dal destino di Mediaset, che è stata un fattore politico non solo per Berlusconi ma anche per Salvini e Meloni… Vedremo poi se nella pattuglia di Forza Italia prevarrà la tendenza a muoversi verso Meloni o verso una propria autonomia critica. Ci può anche essere la tentazione di un’Opa sul partito: il grande maestro, in quel campo, è Renzi…».

Il Governo potrebbe traballare?
«Nell’immediato, no. Ma vedremo cosa accadrà con il Pnrr e le questioni economiche».

Elly Schlein le sta piacendo?
«Alle primarie l’ho sostenuta: il Pd era nel pantano e lei ha dato una speranza. Vedo che ci sono già giudizi affrettati e definitivi sulle sue capacità politiche, io credo invece che bisogna darle tempo».

Cosa scriverebbe come epigrafe per Berlusconi?
(Lungo silenzio). «Un grande magnate, un geniale imprenditore…». (Lunga pausa). «…E basta».

Sulla politica preferisce non esprimersi?
«Ai posteri l’ardua sentenza. Anche se posso già dire che non si tratta certo di Napoleone».

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