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Gli ultimi precari della Fiera di Bologna: da vent’anni senza diritti

In uno dei quartieri fieristici più importanti d’Europa, uno degli asset strategici di Bologna e dell’Emilia Romagna, vi è una situazione di precarietà che, per alcuni, va avanti da 20 anni: si tratta dei lavoratori di BolognaFiere.

La Fiera di Bologna è uno dei centri economici principali dell’intera Emilia-Romagna. Oltre alle enormi somme di denaro che entrano ed escono quotidianamente dalle casse di BolognaFiere, la Fiera è anche motore dell’economia bolognese e produce con il suo indotto una grande ricchezza economica per la città (basta pensare agli incassi degli alberghi o delle aziende di trasporti). L’azienda è partecipata dal comune di Bologna e dalla Regione Emilia-Romagna.

Si tratta di una realtà che, nonostante la concorrenza di altri poli fieristici (in particolare quello di Milano) continua ad avere enormi introiti e ad espandersi, come dimostra la costruzione progressiva di nuovi padiglioni. 

Il problema degli appalti
Ci si espande ma questo non basta per porre fine al precariato di alcuni lavoratori, almeno non nelle forme che questi ritengono adeguate. Abbiamo parlato con Angela Rizzoli, una delle lavoratrici ancora senza un contratto a tempo indeterminato, ostinata a proseguire la lotta per ottenere una stabilizzazione «adeguata alla sua mansione», ci racconta.

La storia comincia molti anni fa: «Abbiamo iniziato che eravamo 150 nel 2000 e altri anche da prima. Da circa 20 anni non ci hanno mai voluto stabilizzare e tramite accordi sindacali sono riusciti anche a eliminare gran parte dei precari, offrendo buone uscite o trasformando i contratti, tanto è vero che ora siamo arrivati a essere 18 in attesa di un vero contratto. Eravamo rimasti in 25 il mese scorso, a oggi 7 sono usciti con le buonuscite e già hanno firmato, altri 6-7 usciranno a breve».

Per loro si arriverebbe a contare 20 anni di precariato, con contratti a tempo determinato rinnovati più e più volte senza mai divenire stabili. Eppure, negli ultimi due anni, la Società avrebbe imposto un’importante riorganizzazione societaria attraverso acquisizioni e scorpori delle attività di gestione del quartiere fieristico, nonché il trasferimento del personale, che già nel 2016 era stato interessato dal piano di licenziamenti dell’allora presidente Franco Boni. In particolare, con tale riorganizzazione societaria, oggetto di ben due contratti di espansione, sarebbe stata assicurata dalla direzione di BolognaFiere la stabilizzazione e il consolidamento dei dipendenti all’interno del quartiere.

Tuttavia, come racconta Rizzoli, in spregio a questi accordi, la Direzione di BolognaFiere si servirebbe di personale in appalto in più ambiti, dalla sicurezza al controllo accessi, alla viabilità e alle attività complementari, in contrasto col diritto di prelazione alla chiamata riconosciuto al diritto di prelazione alla chiamata riconosciuto al personale precario storico. «La decisione di non stabilizzare il personale precario adottata dalla Direzione di Bologna Fiere stride – prosegue Rizzoli -, oltretutto, con la riapertura e la calendarizzazione di nuove fiere dopo i due anni di restrizioni dettate dalla pandemia e sarebbe totalmente incompatibile con gli impegni istituzionali assunti». 

Sul punto abbiamo interpellato il Direttore di BolognaFiere Antonio Bruzzone che ha spiegato: «Abbiamo deciso di esternalizzare alcune mansioni, perché l’utilizzo di personale part time ciclico verticale assunto a tempo indeterminato non è più funzionale a rispondere alle nuove esigenze di gestione del quartiere fieristico di Bologna. Abbiamo un corposo calendario in continua evoluzione, fatto di eventi di dimensioni molto diverse, con una vasta gamma di attività anche serali che si svolgono nel quartiere (eventi sportivi, spettacoli teatrali, ecc.) e con picchi di lavoro da gennaio a maggio. Gli organizzatori fieristici peraltro richiedono sempre più spesso di gestire in autonomia le rassegne con personale di propria fiducia. Abbiamo bisogno di professionalizzare i servizi anche per motivi di sicurezza ed integrità del patrimonio. Tutto questo rende indispensabile la messa in campo di un’organizzazione flessibile e duttile. Per questo la Società da tempo, al pari di tutti gli altri quartieri fieristici nel mondo, fa ricorso ai contratti di appalto. Sono state proprio le organizzazioni sindacali, prendendo atto della necessità della società di fare ricorso ai contratti di appalto per gestire i servizi relativi al quartiere fieristico, a proporre di siglare con le istituzioni cittadine nell’agosto 2020 il “Protocollo Appalti”, che rispettiamo rigorosamente».

Questione di esternalizzazione
Il Collettivo precari BolognaFiere non la pensa esattamente così: «Invece di rispettare i patti, sottoscritti con i soci pubblici nell’agosto del 2020 e che dovevano garantire il mantenimento occupazionale e il “buon lavoro”, l’azienda ha ribadito l’intenzione di esternalizzare tutte le mansioni tramite ulteriori appalti: un vero e proprio piano di svuotamento dell’organico in servizio».

Quattro anni di esternalizzazioni, cessioni di ramo d’azienda, precarietà, i lavoratrici e lavoratori a tempo indeterminato e determinato ceduti a Wydex (una società esterna che si occupa di servizi): tutto questo nonostante l’aumento di capitale da parte dei soci pubblici e la vendita di 25 milioni di obbligazioni, nonostante le precedenti intese sindacali, nonostante una proprietà pubblica della regione Emilia Romagna e del Comune di Bologna.

«Dopo quattro mesi di trattative portate avanti dal Direttore Generale e dalla Direttrice del Personale di BolognaFiere, si è giunti ad una Bozza di Accordo inaccettabile, non solo per i precari ma anche per il personale a tempo indeterminato», si legge sui manifesti di protesta del Collettivo precari BolognaFiere.

«Nonostante questa ipotesi di accordo fosse stata bocciata dalle lavoratrici e dai lavoratori nelle due assemblee svolte, e ci fossero delle proposte di modifiche da portare al tavolo, l’azienda unilateralmente ha deciso di procedere seguendo a grandi linee l’accordo mai firmato e inviando a tutti i lavoratori precari la richiesta di disponibilità all’incentivo all’esodo e solo a cinque una proposta di lavoro. Proposte che i cinque lavoratori e lavoratrici hanno rifiutato perché inadeguate economicamente e con mansioni generiche, oltre che diverse da quelle svolte da loro fino ad oggi (gestione di manifestazione, casse, accoglienza, controllo, viabilità interna etc.) condizioni di fatto inaccettabili».

Il Collettivo ritiene inammissibile e insensato che venga proposto di accettare un lavoro diverso dalla mansione svolta fino ad oggi per appaltare questo lavoro e in futuro l’intera mansione, con lavoratori pagati meno, perlopiù con un’azienda che abitualmente usa contratti che offrono «pochi soldi e diritti». Aggiungono inoltre che trovano «scandaloso che il Presidente di questa società sia un quadro di BolognaFiere, nonché marito della Direttrice del Personale che gestisce le trattative ai tavoli e si rifiuta di assumere nella mansione da noi sempre svolta nonostante il lavoro ci sia».

La richiesta del Collettivo è una presa di posizione da parte dei Soci Pubblici riguardo il presunto conflitto di interessi e un’offerta contrattuale maggiormente rispondente alle loro mansioni e necessità per superare uno disagio che dura da decenni.

Condizioni migliori?
«La società è una Spa che deve perseguire gli obiettivi aziendali condivisi dal Cda. Naturalmente, la società è sempre pronta a confrontarsi con i soci pubblici», risponde Bruzzone. «Nell’ultimo incontro sindacale svolto in sede istituzionale abbiamo concordato che la lista dei lavoratori a tempo determinato sarebbe stata eliminata nel corso dei prossimi tre anni attraverso le incentivazioni all’esodo ed in alternativa con proposte di assunzione a tempo indeterminato. Stiamo agendo in questa direzione con tempistiche ben più veloci di quelle ipotizzate».

Secondo il direttore, «il Gruppo BolognaFiere nel 2016 aveva 341 dipendenti, oggi conta 650 dipendenti a tempo indeterminato. Negli anni abbiamo cercato di ridurre il numero di persone con contratto a tempo determinato stagionale impiegate e siamo arrivati ad avere 18 lavoratori e lavoratrici con questo tipo di contratto. I modelli organizzativi del mondo fieristico e congressuale sono cambiati velocemente nel tempo e quindi sono cambiate anche le mansioni e le competenze necessarie. Per questa ragione, in accordo con le rappresentanze sindacali, abbiamo utilizzato diversi strumenti messi a disposizione dal legislatore per l’accompagnamento al prepensionamento dei dipendenti part time ciclico verticali: incentivazioni all’esodo, isopensione, contratti di espansione per gli anni 2021, 2022 e 2023».

Il direttore conferma che i contratti offerti non rispecchiano le mansioni attualmente svolte: «È vero, non rispecchiano le mansioni ma sono di gran lunga migliorative rispetto alle attuali condizioni economiche dei lavoratori in questione», afferma Bruzzone. «Le proposte di assunzione a tempo indeterminato, part time o full time a scelta del lavoratore nelle società del Gruppo, sono comunque legate ad attività di gestione ed organizzazione del quartiere fieristico (servizi generali, ufficio vendita servizi, logistica, ecc.) e abbiamo cercato di valorizzare le competenze maturate negli anni dalle persone. Le proposte che abbiamo avanzato fanno fare un balzo da una media attuale di cinquemila euro annui di Ral, in base alle ore lavorate su base stagionale, ai 25mila euro per un quarto livello da impiegato con Contratto Collettivo Nazionale del Commercio a cui si aggiunge un contratto integrativo aziendale che prevede maggiorazione degli straordinari, buoni pasto, premio di risultato, copertura assicurativa medica, flessibilità in entrata e in uscita, smartworking, ferie, permessi e riduzioni di orario di lavoro aggiuntivi rispetto a quanto previsto dal Ccnl».

Secondo il direttore Bruzzone, «i lavoratori stagionali ad oggi sono 18, numero destinato a ridursi a 12 nei prossimi giorni poiché alcuni lavoratori hanno manifestato l’interesse all’uscita volontaria dalla lista a fronte di un incentivo economico pari a 5 annualità (prendendo come riferimento l’anno in cui la risorsa ha lavorato per il maggior numero di ore dal 2018 al 2022)».

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